The Club: Bola Padel Roma
IL CASO

Uno su 10.617 ce la fa

Nel 2023 si sono giocati 1.135 tornei ITF, con oltre 10.000 giocatori coinvolti. Risultato? Quasi 3.500 tennisti sono entrati in classifica mondiale. Pochissimi di loro raggiungeranno la sostenibilità economica, allora è lecito domandarsi se il principio del (vituperato e abolito) ITF Transition Tour non fosse corretto.

Riccardo Bisti
22 dicembre 2023

L'obiettivo istituzionale dell'ITF è la promozione del tennis. È dunque positivo che provi a inseguirlo in ogni modo. Tuttavia, i numeri presentati dal consueto report di fine anno giustificano qualche perplessità. Se da un lato è giusto che ci siano tanti tornei, e tutti abbiano la possibilità di inseguire il sogno di diventare professionista, è altrettanto chiaro che non ci sarà mai un'adeguata sostenibilità economica. Una ricerca effettuata nel 2014 dalla stessa ITF aveva fissato al numero 336 ATP (e al numero 253 WTA) il breakeven tra spese e guadagni, linea di confine per evitare di perdere denaro. Al di sotto, giocare a tennis diventa un hobby a pagamento, che in certi casi può essere piuttosto costoso (e persino drammatico, se supera il confine del patologico). Da allora è passato qualche anno: è possibile che le cose siano leggermente migliorate, ma il principio non cambia: il tennis può essere molto remunetativo, ma per pochissimi. E allora bisogna affrontare con il giusto spirito critico i numeri proposti dall'ITF, a cui si aggiunge un altro dato di fatto: nel 2023 appena concluso, ben 3.440 tennisti hanno raccolto almeno un punto valido per la classifica mondiale.

Nel ranking ATP ci sono 2.047 giocatori, mentre in quello WTA sono in 1.393. Tutta gente con ambizioni più o meno legittime, ok, ma soltanto una piccola percentuale (5% o giù di lì) riesce a guadagnare con la racchetta in mano. Se però leggiamo i numeri diffusi dall'ITF, scopriamo che il miraggio del professionismo affascina un numero enorme di giocatori. Nel solo 2023, la bellezza di 10.617 tennisti (6.026 uomini e 4.591 donne) hanno giocato almeno una partita valida per la classifica mondiale. È stato possibile grazie alla cifra-record di tornei organizzati sotto l'egida ITF, gli ex Futures maschili (oggi rinominati M15 ed M25) e i tornei femminili fino a 100.000 dollari di montepremi. Ne sono stati giocati ben 1.135 (571 maschili e 564 femminili), battendo un record (1.097) che resisteva dal 2019, ultimo anno prima della pandemia. In media, oltre dieci tornei a settimana che hanno prodotto la bellezza di 50.605 partite con almeno un punto ATP-WTA in palio (35.060 in singolare). Questi numeri non tengono conto dei match di qualificazione: fossero inseriti, renderebbero ancora più enormi (e potenzialmente drammatiche) le cifre del semi-professionismo.

  • 3.440

    I tennisti che hanno raccolto almeno un punto ATP-WTA nel 2023. In campo maschile, il peggio piazzato è il serbo Andrej Radojcic, numero 2.047 ATP in virtù di un solo punto conquistato in tredici tornei giocati.

Andrebbe benissimo se l'enorme partecipazione non si scontrasse con prize money da fame. I tornei maschili garantiscono un montepremi complessivo di 11,2 milioni (media di 19.614 dollari a torneo), mentre in campo femminile il compenso complessivo è arrivato a 17,5 milioni (media di 31.028). Nulla di sorprendente o sconosciuto, se non che questi tornei non garantiscono nessuna stabilità economica. Anzi, al contrario, garantiscono un passivo. L'unico dato realmente positivo riguarda una parità di genere per i tornei che possono essere paragonati ai Challenger maschili, ovvero gli eventi ITF dai W40 in su (a cui si aggiungono i WTA 125): se ne sono giocati 189, quasi la stessa cifra dei 196 ATP Challenger. In fondo, si tratta dell'unica via per accedere all'elite del circuito maggiore. Viene fatto l'esempio della stellina Mirra Andreeva. Di lei si è recentemente parlato per motivi extra-tennistici, ma è opportuno ricordare che quest'anno è partita dai tornei ITF (vincendone due di fila), salvo poi chiudere tra le top-50.

Hanno frequentato questo mondo diverse giocatrici di livello, su tutte Emma Navarro (n.32 WTA, vincitrice di cinque titoli). Le più titolate sono state Brenda Fruhvirtova e Arina Rodionova. La prima ha intascato ben sette titoli (in aggiunta agli otto conquistati l'anno scorso), mentre l'australiana detiene il record di partite vinte nel circuito ITF, con 75 successi. La Fruhvirtova ha 16 anni e la Rodionova 34, come a dire che questi tornei non hanno età. Vista l'organizzazione del circuito, le donne hanno più chance di uscire dal mondo ITF, mentre il calderone maschile prevede tornei di livello troppo basso per pescare potenziali fenomeni. La sospensione preventiva per aver violato il Tennis Anti Corruption Program ha impedito a Dragos Nicolae Madaras di battere il record di titoli (aveva ipotizzato di arrivare in doppia cifra).

Mirra Andreeva ha iniziato l'anno nei tornei ITF, chiudendolo tra le top-50 WTA

Un carrellata dei giocatori che hanno scalato più posizioni ATP-WTA frequentando i tornei ITF

Le sue imprese sono state ignorate dalla comunicazione istituzionale, che ha preferito segnalare la costanza del portoghese Goncalo Oliveira, capace di arrivare a nove titoli, frutto di 89 vittorie e una percentuale di successi del 79%. Vincere così tanto gli ha permesso di salire al numero 224 ATP, ma i suoi sforzi non hanno avuto chissà quale beneficio economico: ha raccolto 59.432 dollari, dunque avrebbe avuto diritto a un'integrazione di oltre 15.000 dollari se il Baseline Program dell'ATP fosse già stato in vigore. Ma è paradossale che un tennista così vincente non sia arrivato alla soglia minima garantita per la sua fascia di classifica. Insomma, i numeri sono belli ed è giusto promuoverli. Però bisogna anche saperli leggere: una visione più attenta evidenzia come l'attuale struttura piramidale garantisca benefici economici a pochissimi giocatori sul totale degli aspiranti professionisti. Non è la sede per discutere se sia giusto o sbagliato, semmai è opportuno riflettere su come viene comunicata questa realtà.

Troppo spesso, i tornei ITF vengono promossi come gradino più basso del professionismo, mentre forse sarebbe più corretto definirli... vetta del dilettantismo. Non a caso, chi li frequenta – se è fortunato – integra le proprie entrate partecipando ai campionati a squadre in vari Paesi europei, o addirittura giocando i tornei nazionali, che offrono un migliore compromesso tra spese e guadagni. Il sogno di diventare un giocatore non deve essere negato a nessuno, ma alla luce di questi numeri emerge una riflessione, anzi, una provocazione: qualche anno fa, l'ITF Transition Tour mirava a creare una distinzione tra i veri professionisti e i frequentatori dei tornei minori, proponendo una diversa distribuzione dei punti e una doppia classifica mondiale; da una parte quella ATP, dall'altra quella ITF per gli aspiranti. L'iniziativa è durata pochi mesi ed è stata abolita a furor di popolo. Qualche anno dopo, tuttavia, i numeri autorizzano una domanda: e se fosse proprio quella la strada giusta, troncando sul nascere effimere illusioni, e preservando migliaia di giocatori da batoste morali ed economiche?