L'ultimo avversario imbattuto di New York: il muro

US OPEN

29 agosto 2023

Riccardo Bisti

Chiunque abbia giocato a tennis sa che c'è un avversario imbattibile, fedele compagno a costo zero: il muro. In Italia lo stiamo progressivamente abbandonando, mentre negli Stati Uniti se ne trovano a ogni angolo. Non perde mai, ma è il compagno ideale per ogni giocatore, di qualsiasi livello.

Il detto arriva proprio dagli Stati Uniti. “Il tennis è uno sport frustrante perché cominci a giocare contro un muro e qual è la prima cosa che capisci? Che non potrai mai vincere!”. Verissimo. Il muro è un avversario tanto leale quanto imbattibile. Non è un caso che Novak Djokovic sia ancora legatissimo a quello di Kopaonik, sulle montagne serbe, al punto da tornarci ogni tanto anche se è crivellato di pallottole. E forse è anche per questo che nei circoli italiani li stanno lentamente dismettendo per lasciare spazio a palestre, campi da padel o amenità varie. Ma questo suggestivo articolo, scritto da Ethan McAndrews e ambientato nella New York del 2023, ci ricorda perché il muro rimarrà un compagno insostituibile per ogni appassionato.


Sembra un indovinello: chi è che non non muove la racchetta, ma vince ogni punto? La risposta, almeno a New York, è semplice. È lo stesso sparring partner con cui i newyorkese duellano da decenni: il muro di pallamano. Il muro – si immagini un campo da singolare diviso in due da un gigantesco muro di cemento al posto di una rete – offre un sollievo al caos tra domanda e offerta per chi cerca un campo da tennis a New York. Spazi limitati, lunghe code e tariffe ridicole impediscono anche ai più grandi appassionati di prenotare un campo nel fine settimana. Il muro aderisce a un modello economico più semplice: ti presenti, prendi una palla e inizi a colpire. Non ci sono pretese, dress code da rispettare e portali di prenotazione online. Se riesci a rispondere, lo scambio continua. Tutti lo acclamano come macchina lanciapalle del popolo.

Ma il muro merita credito oltre la sua accessibilità. C'è bellezza in questo marchio tennistico. Non offre un graduale acclimatamento alla vita cittadina. Dopo la partita non siamo attesi da un Martini a bordo piscina. La città ti immerge nel suo caratteristico mix di suoni e odori. Musica rap a tutto volume da un auto di passaggio, spazzatura accumulata sul marciapiede. E tu sei lì, a lottare. Contro il muro, l'unica opzione è abbandonare i propri sensi alla semplicità di un avversario imbattibile: rovescio, rovescio, rovescio, rovescio...

Il mio muro su Roosvelt Island, il piccolo tratto tra Manhattan e il Queens, è accanto a un parco giochi e due campi da basket. Mi sono presentato un sabato mattina intorno alle 8.30. Non appena ho aperto il cancello, un uomo rosso dalla fatica è uscito dal campo. Aveva con sé una racchetta e tre palline. “Divertiti” mi ha detto, ansimando. Il muro aveva appena vinto la sua prima partita della giornata. Mi sono allacciato le scarpe, ho preso una palla e l'ho lanciata un metro sopra la mia rete immaginaria. Dal muro si è allargata verso il mio rovescio, costringendomi alla mia sinistra. Ho tirato uno slice. Si è inclinata rispetto al muro alla mia destra, rimbalzando tre metri dietro di me. 0-15. Nei successivi 30 minuti, il muro ha risposto a tutte le mie domande. Dritto in topspin esasperato? Nessun problema. Rovescio lungolinea? Tutto il giorno. Dropshot? Bel tentativo. La vernice bianca scheggiata, cosparsa nel vago contorno di una linea di rete immaginaria, serviva a ricordare i giocatori che mi avevano preceduto.

Qualsiasi colpo tu possa giocare, anche il più spettacolare, il muro avrà sempre una risposta

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Con l'inevitabile sconfitta, la mia mentalità è cambiata. Non giocavo più contro il muro, ma contro me stesso. Ho capito la lezione degli imbattuti muri di New York. Lui è così consistente, così perfetto da diventare quasi invisibile. Non nasconde rotazioni selvagge o angoli inattesi. Fa eco a un adagio che ogni tennista conosce a memoria: devi giocare da solo.

Ho iniziato a vedere il brand newyorkese del tennis ovunque. A differenza dei campi da tennis, tipicamente riservati ai grandi parchi e ai club privati, quelli da pallamano sono nascosti negli angoli. Non reindirizzano il flusso della città, ma lo incanalano. I campi al largo della West 4th Street nel Greenwich Village, conosciuti semplicemente come “The Cage”, attirano una folla di passeggeri dei treni, giocatori di basket e studenti universitari della New York University. Più in basso, a Rockfeller Park, un dritto scagliato dal campo di pallamano potrebbe finire nel fiume Hudson. Il gioco continua fuori Manhattan. Al largo di Jackson Avenue, nel Bronx, i giocatori entrano nel St. Mary's Park, un anfiteatro di barbecue, feste di compleanno e altoparlanti a tutto volume. Attraverso Randall Island ad Astoria, nel Queens, le palline da tennis risuonano dalla parte inferiore del ponte RFK. Queste mura segnano i contorni della città. Coprono i suoi quartieri, mappano i confini e rispecchiano le sue culture.

La prossima volta che il tuo compagno di gioco dorme troppo o perde il treno, prova a cercare fortuna contro l'ultimo tennista imbattuto della città. Non si vanterà, non sbaglierà mai una chiamata e non ti farà stare il fila per due ore. E vive già nel tuo quartiere. Prova il muro. È il tennis per una persona. E per tutti.