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LA STORIA

La favola di due uomini senza padre

Accomunati dai rispettivi drammi familiari, Paul Jubb e Guillermo Perez Roldan hanno avviato un progetto comune. Il britannico è orfano ed è cresciuto con la nonna, l'ex n.13 ATP ha confessato le violenze e i soprusi del padre, con cui non ha più rapporti. Con l'aiuto dell'argentino, Jubb ha vinto il suo primo Challenger. 

Riccardo Bisti
29 marzo 2022

Ci sono anime che sono fatte per incontrarsi. Non importano le distanze, le difficoltà, le differenze culturali. Deve succedere. Quando Guillermo Perez Roldan veniva picchiato da papà Raul, come ha raccontato nella drammatica intervista-confessione di due anni fa, Paul Jubb non era nemmeno nei pensieri dei suoi genitori, una donna keniana e un ex membro dell'esercito britannico. Quando Sean Jubb si è suicidato, il figlio aveva tre anni. In quel periodo, Perez Roldan si trovava in Italia per ritrovare vita e lavoro dopo i drammi personali di cui era stato vittima anni prima. Perez Roldan è argentino, Paul Jubb è britannico. Non potrebbero esserci Paesi più rivali. Prima la Guerra delle Falkland-Malvinas, mossa disperata di un regime militare che stava per esalare l'ultimo respiro. Gli argentini cercarono di conquistare un pugno di isole senza alcun valore strategico, storico protettorato britannico. Finì con il sangue. Quattro anni dopo, la rivincita argentina arrivò su un campo di calcio, con la Mano de Dios di Diego Armando Maradona, accompagnata – qualche minuto dopo – dal gol più bello di tutti i tempi. E poi anni di rivalità, dispetti e dispettucci. Per questo, la partnership tra Jubb e Perez Roldan è ancora più emozionante.

Il 22enne britannico, già campione NCAA, ha scelto di farsi allenare dal tecnico argentino, numero 13 ATP nel 1988, quando lo soprannominavano Rocky per la sua forza fisica e la potenza del suo dritto, colpo che gli permise di arrivare in finale a Roma, battuto in cinque set da Ivan Lendl. Mentre gli occhi mainstream sono appoggiati sul Miami Open, la strana coppia ha raccolto il suo primo titolo Challenger, a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia. “Di recente ho avuto problemi personali, per questo il mio primo titolo Challenger è ancora più speciale – ha scritto Jubb su Instagram – io sono l'ennesimo esempio di come tutti noi abbiamo demoni interiori, ma se li affronti e li accogli, puoi continuare a progredire”. Sia Paul che Guillermo sanno cosa significa avere un demonio che ti brucia dentro. Ed è per questo, forse, che la loro partnership sta funzionando. Perez Roldan ha vinto nove titoli ATP e ha vissuto una carriera folgorante ma breve. Ha smesso di giocare con continuità a 24 anni per i guai a un polso destro che non guariva mai, nonostante tre operazioni. Anni prima aveva smesso di farsi allenare da papà Raul, vero e proprio demiurgo del Sistema Tandil che avrebbe creato un numero incredibile di top-100 ATP, da Juan Martin Del Potro in giù.

«Di recente ho avuto problemi personali, per questo il mio primo titolo Challenger è ancora più speciale. Io sono l'ennesimo esempio di come tutti noi abbiamo demoni interiori, ma se li affronti e li accogli, puoi continuare a progredire» 
Paul Jubb
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Paul Jubb è rappresentato da "77", la società di gestione di Andy Murray

“Avrei preferito avere un peggior tecnico ma un padre migliore” aveva detto nell'intervista di due anni fa, una chiacchierata come tante. Poi ha rimuginato qualche ora e ha scelto di vuotare il sacco, raccontando al giornalista tutto quello che si era tenuto dentro per anni. “Mio padre è stato un grande tecnico, ma un padre di m....”. E giù a raccontare gli abusi, i maltrattamenti. Il punto più basso è arrivato a Itaparica, nel 1987 (torneo del primo titolo di Andre Agassi): Guillermo era reduce dal successo a Buenos Aires e perse al primo turno, messo in difficoltà dalla superficie molto diversa e più veloce. Dopo il match, il padre prese a frustarlo perché non si era mosso bene sul campo. Un paio d'anni dopo si è liberato dall'incubo, scegliendo di viaggiare da solo. Ma la beffa era dietro l'angolo: con la complicità della madre, gli hanno sottratto tutti i soldi guadagnati con il tennis. Ed erano diversi milioni di dollari. “I soldi conquistati con il tennis erano a nome mio, ma firmando in due potevano prenderli”. E così Perez Roldan si è trovato a 25 anni, senza una carriera, col fisico malandato e senza soldi. Ha dovuto chiedere aiuto a suo nonna per pagarsi un affitto. “Andai da mio padre e gli dissi che gli avrei lasciato il 50% di quello che avevo guadagnato.

Non il 10, non il 20, non il 30... perché aveva fatto parte di tutto questo. Ma volevo che mi lasciasse la mia parte. Lui disse che io avrei speso malamente quei soldi, quindi li avrebbe gestiti lui. Allora gli ho detto: 'Mettiti i soldi nel c...., smetti di essere mio padre'”. Con l'aiuto di Guillermo Vilas ha trovato lavoro in Italia (“Un Paese che amo quasi quanto l'Argentina”), poi qualche tempo fa si è trasferito in Cile. Non ha mai abbandonato il tennis, anche se papà Raul ha continuato a deluderlo. E pensare che era stato costretto al ritiro anche per causa sua: nel 1993 fece a botte in un autogrill sulla Milano-Genova per difenderlo. “Era un litigio per futili motivi, su chi avrebbe dovuto fare benzina per primo...”. Erano andati al TC Ambrosiano per vedere Mariano Zabaleta, impegnato al Torneo dell'Avvenire. All'arrivo a Genova, la mano era troppo gonfia. Dovette dare forfait, rimase fermo due mesi, giocò altri quattro tornei più una serie di Coppa Davis e la sua carriera nei fatti, terminò lì. Ci furono tentativi di riavvicinamento, l'ultimo piuttosto recente. “Ma mi ha truffato anche questa volta” ha sospirato Perez Roldan, oggi padre di tre figli: Agustina, Chiara e il piccolo Damian. Uno così, un tipo molto sensibile, reduce dall'esperienza con un padre di m...., non poteva che allenare un giocatore che il padre non l'ha mai avuto.

Nel 1988, Guillermo Perez Roldan ha raggiunto la finale agli Internazionali d'Italia. Perse in cinque set conro Ivan Lendl

Nel 2019, Paul Jubb è diventato campione NCAA. Fosse stato americano, gli avrebbero dato una wild card per lo Us Open

Jubb non ne parla volentieri, anzi, non ne parla proprio. Però si è tatuato il nome dei genitori sul torace, all'altezza della costola sinistra. Rimasto orfano da bambino, è stato cresciuto da nonna Valerie a Hull, nel piovoso nord della Gran Bretagna. “Mi ha fatto da mamma e da papà insieme”. Ottimo talento atletico, ha avuto una carriera junior a intermittenza perché la nonna non guidava e raramente poteva raggiungere le sedi dei tornei, dipendendo dai mezzi pubblici. Per questo, deve moltissimo al suo primo allenatore Johhny Carmichael. E poi a Josh Goffi, il tecnico che lo ha scovato a Hull e lo ha portato con sé in Carolina del Sud, laddove Jubb ha studiato per qualche anno e si è formato come giocatore. Il momento più bello è arrivato nel 2019, quando ha vinto i Campionati NCAA. Dopo il matchpoint ha scaricato un urlo belluino e si è strappato la maglia. “Ce l'hai fatta”, gli disse Goffi. “No, ce l'abbiamo fatta” gli ha risposto lui. Vincere quel torneo (nel cui albo d'oro figurano Jimmy Connos e John McEnroe) garantisce la wild card per lo Us Open, ma non gliela diedero perché non è cittadino americano. La faccenda non è passata inosservata alla Lawn Tennis Association (LTA, la federtennis britannica), che l'anno dopo gli ha concesso un invito per Wimbledon. Fece una discreta figura ma non incassò il montepremi, perché scelse di restare dilettante e continuare a studiare. L'anno dopo ha cambiato idea, anche perché Andy Murray ha scelto di scommettere su di lui, mettendolo sotto la sua ala protettrice (la società di management “77”), e perché la LTA lo ha inserito nel Pro Scoalrship Program (PSP), un progetto di sostegno economico per i migliori tennisti britannici tra i 16 e i 24 anni che – secondo i tecnici – hanno la chance di entrare tra i top-100 entro cinque anni.

Di questo gruppo fa parte anche Emma Raducanu. E così Jubb ha potuto accedere a sovvenzioni importanti, che gli permettono di allenarsi presso il Centro Tecnico Nazionale, usufruire di servizi vari e prendersi un coach di livello mondiale. La scelta è ricaduta su Perez Roldan e c'è qualcosa di emozionante, quasi mistico. Spesso i genitori sono figure molto presenti – talvolta ingombranti – nella vita dei tennisti. Al contrario, Jubb e Perez Roldan sono cresciuti senza padre, sia pure con modalità molto diverse. E forse l'argentino si è rivisto in quel ragazzo cresciuto con la nonna. Non pensa di fargli da padre sostitutivo, ma di sicuro gli sta dando quella cura – non solo tecnica, ma soprattutto umana – che lui non ha mai avuto. A Santa Cruz de la Sierra, Jubb è diventato il primo britannico a vincere il suo primo Challenger sulla terra battuta dal 2009, quando James Ward vinse a Sarasota (ma era terra verde). In finale ha superato Juan Pablo Varillas, che lo precede di circa 170 posizioni nel ranking. Con questo successo, dovrebbe entrare tra i top-250 ATP. Lui spera che sia solo l'inizio: si è già spostato a Pereira, in Colombia, dove proverà a sfruttare l'onda positiva. Esordirà stasera contro il locale Mateo Gomez. Accanto a lui, come sempre, Guillermo Perez Roldan. Il suo secondo padre. Che ha avuto un padre di m....