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DELIRIO SINNER

L'Imperatore

Giornalisti, Colosseo e Taverna Trilussa: il Sinner Day a Roma si è sviluppato tra impegni di vario genere. Li ha gestiti con enorme professionalità, senza trascurare un po' di tempo in palestra. Zero polemiche sugli argomenti del giorno: il Festival di San Remo e la residenza fiscale. 

Riccardo Bisti (Foto Sposito / FITP)
1 febbraio 2024

Un po' ci ha messo del suo, un po' lo hanno istruito. Quel che conta è il risultato: oltre a essere bravo a tirarsi fuori dai guai sul campo da tennis, Jannik Sinner sta diventando un fuoriclasse a schivare le bucce di banana della comunicazione. Sapeva benissimo che vincere l'Australian Open avrebbe scatenato l'isteria collettiva. Sapeva perfettamente che la vita quotidiana non sarebbe più stata la stessa. Nemmeno addentare un piatto di pasta sarebbe diventato un gesto di routine, almeno nella sua vita pubblica. Se ne è accorto mercoledì 31 gennaio, quando non si è potuto rilassare del tutto nemmeno quando è andato nell'iconica Taverna Trilussa, luogo cult della movida romana, destinazione preferita dai tennisti durante gli Internazionali d'Italia. Hanno intercettato la sua presenza insieme al manager Joseph Cohen e in pochi minuti il popolo dei social ha saputo cosa ha fatto e cosa ha mangiato all'interno del locale, laddove gli hanno riservato lo stesso tavolo che a suo tempo era di Roger Federer. Se lo svizzero era soprannominato King Roger, un italiano a Roma non può che essere un Imperatore, soprattutto dopo che avevano aperto per lui le porte del Colosseo, uno dei luoghi-simbolo dell'Italia, per effettuare l'ennesimo servizio fotografico con il Norman Brookes Challenge Trophy tra le mani.

Mercoledì 31 gennaio è stato il Sinner Day, ancor più di oggi quando – insieme agli altri componenti del team di Coppa Davis – farà visita al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, incontro per celebrare il successo di Malaga e rinviato (non senza imbarazzi) dallo scorso dicembre. Fosse per lui ne avrebbe fatto a meno, ma Jannik è finito nel tritacarne dello star system, quello che rende virale ogni gesto e ogni singola parola. Per un riservato (più che timido) figlio dell'Alto Adige deve fare uno strano effetto ricevere richieste di foto persino dagli agenti della Polizia di Stato, una volta atterrato a Fiumicino. Però si è fatto trovare preparato nello scambio più importante: quello con i giornalisti affamati di dettagli. L'incontro si è svolto presso la nuova sede della FITP, pagata quasi 18 milioni di euro e che non poteva chiedere modo migliore per essere inaugurata. Sul tavolo c'erano tre soggetti: il padrone di casa Angelo Binaghi, il Golden Boy del tennis mondiale e il trofeo intitolato al mitico campione australasiano, simbolo e icona del trionfo.

«San Remo? Farò il tifo da casa. È un bell'evento, ma nel momento in cui sarei dovuto andarci mi starò allenando» 
Jannik Sinner

Davanti a loro un plotone di giornalisti, specializzati e non, che per un'ora lo hanno bersagliato di domande. Lui era preparato: risposte precise, perfette per smorzare qualsiasi accenno di polemica. Sinner non ha nessuna voglia di alzare i toni, figurarsi se coglie le provocazioni. Le bucce di banana della conferenza stampa erano due: la telenovela sulla partecipazione al Festival di San Remo e l'inevitabile domanda sulla residenza fiscale a Monte-Carlo. In entrambi i casi, si è tolto d'impiccio con eleganza e senza fare nomi. “San Remo? Farò il tifo da casa. È un bell'evento, ma nel momento in cui sarei dovuto andarci mi starò allenando”. Pochi secondi per chiudere un argomento che aveva riempito i social media. Rispediti al mittente gli inviti, anche pubblici, di Amadeus. Volendo pensare male a tutti i costi, potrebbe aver pensato che l'ospitata di due anni fa non portò troppa fortuna a Matteo Berrettini. Stupide scaramanzie, certo, ma è un dato di fatto che da allora il romano ha giocato appena 61 partite in due anni. C'è poi la questione Monte-Carlo, a cui – ciclicamente – gli atleti di successo sono chiamati a rispondere. A Berrettini era andata peggio, al punto che Report gli aveva dedicato un lungo servizio, con tanto di caccia all'uomo di una giornalista durante il torneo ATP di Vienna.

“Quando avevo 18 anni, il mio coach di allora aveva la residenza a Monte-Carlo e ci sono andato anche io. Mi trovo bene, sono tranquillo, posso andare al supermercato senza problemi, mi posso allenare, ci sono le strutture adatte”. Nessuna parola di troppo, come a dire: lasciate perdere, non dirò altro. La risposta (scontata) su Monte-Carlo, semmai, avrebbe alimentato una domanda su Riccardo Piatti, il coach che lo ha seguito dai 14 ai 20 anni, mai nominato in questi giorni. Non lo ha fatto a Melbourne, non lo ha fatto a Roma, nemmeno quando l'argomento è stato accarezzato rispondendo a una domanda sul suo consigliori Alex Vittur, che – si dice – abbia avuto una certa influenza nella scelta di cambiare strada. Sarebbe stato interessante che qualcuno gli chiedesse cosa sia esattamente successo con Piatti, al punto da non nominarlo più. Ma anche in quel caso Sinner avrebbe replicato con una non risposta. Se non gli va di parlare di un argomento lo dice, e lo fa in un modo che non ammette repliche, o meglio, che scoraggia l'insistenza. Quando Jannik parla a favore di microfoni scordatevi polemiche o prese di posizione. Sul campo potrà ricordare Novak Djokovic, ma non crediamo proprio che realizzerà filmati come quello diffuso da Djokovic subito dopo il suo primo titolo Slam (Australian Open 2008), quando sostenne che il Kosovo è serbo, scatenando disordini di piazza a Belgrado. E non crediamo abbia voglia di fare il sindacalista per sé o per gli altri, come Djokovic sta facendo con la sua PTPA.

Jannik Sinner durante la conferenza stampa nella nuova sede FITP (Foto Giampiero Sposito / FITP)

Sinner spiega il (nobile) motivo per cui ha rinunciato ad andare a Sesto Pusteria in questi giorni

Sinner è il bravo ragazzo, anzi, il ragazzo semplice come si definisce lui, che ama mangiucchiare qualcosa quando si trova in camera a giocare al computer. Gli interessa soltanto vincere sul campo da tennis. Per arrivarci, ha capito che l'unica via percorribile è il duro lavoro, il massimo impegno su quello che si può controllare. Non a caso, prima di tuffarsi nella mondanità, aveva fatto sapere via social di aver trascorso la mattinata in palestra. Mica ci si può rilassare del tutto. Spirito simile a quello di Rafael Nadal, ma un pochino noioso da comunicare. E allora capita che il momento clou della conferenza sia la mini-gaffe quando gli hanno chiesto di social, letture e serie TV. “Quando ero in Australia guardavo una serie, si chiama Animal Kingdom, ma in Italia non si vede. Devi mettere il VPN...” “È illegale” ha sussurrato Binaghi, che sospettiamo non essere uno smanettone di connessioni private. “Infatti, io non ce l'ho, ve lo dico”. Il passaggio è rapidamente diventato virale al pari di quelli più seri, nei quali è emerso il volto più genuino di Sinner. Quando l'inviata del TG regionale dell'Alto Adige gli ha chiesto (in tedesco) se andrà a Sesto, ha detto di averci pensato.

Ha però ricordato la tragedia che qualche giorno fa ha colpito la comunità locale. “Non era il caso di andare a Sesto e fare una festa in un momento del genere, allora ho preferito fare tutto qui”. E poi la perla sui social media: “Non mi piacciono perché non rappresentano la realtà. Magari sto piangendo, ma posso pubblicare un'immagine sorridente. E nessuno sa che sono triste”. A chiudere, l'ammissione di aver fatto un po' di casino con l'affermazione sui suoi genitori, ringraziati durante la premiazione a Melbourne. “Da quando l'ho detto, sono presi d'assalto...”. Quella frase con il microfono blu griffato AO sotto il naso è stata – forse – l'unico scivolone comunicativo di Jannik in questi giorni. Non per il contenuto, ma per le conseguenze. Lui preferirebbe il basso profilo, essere lasciato in pace e pensare al torneo di Rotterdam, unico impegno agonistico di febbraio. Si è rassegnato al fatto che non sarà così, ma state certi che dalla sua bocca non usciranno mai parole fuori posto o provocatorie. E nemmeno particolari celebrazioni. “Fare il portabandiera dell'Italia alle Olimpiadi di Parigi? Non ci ho pensato”. Alzi la mano chi si aspettava una risposta diversa.