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LA STORIA

Il lato oscuro del tennis

Confessione shock di Robin Soderling: debilitato dalla mononucleosi, entrò in una profonda depressione che gli ha impedito di ricominciare. Nei momenti più cupi, aveva addirittura fatto ricerche online sul suicidio. Prima di allora, il tennis era la sua unica ragione di vita. “Ma poi non avrei potuto riprendere, neanche con una pistola puntata alla tempia”.

Riccardo Bisti
8 luglio 2020

Gli osservatori più attenti avevano intuito qualcosa. Nelle tante interviste post-ritiro, Robin Soderling aveva lasciato sgorgare un po' della tremenda sofferenza che lo ha accompagnato nella transizione da tennista a essere umano. Travolto dalla mononucleosi, ha ufficialmente annunciato il ritiro il 23 dicembre 2015, oltre quattro anni dopo l'ultima partita. “In alcuni momenti mi sentivo talmente male da non riuscire ad alzarmi dal letto” aveva scritto nella lettera in cui annunciava l'addio. La necessità di essere un grande tennista, inferiore solo ai Big Three, unita ai sintomi della malattia, ha prodotto un cortocircuito che si è tramutato in una forte depressione. Una depressione che lo ha condotto a pensieri suicidi. Nei 67 minuti di intervista-confessione con “Sommar & Vinter”, popolare trasmissione di Sverige Radio, l'ex numero 4 del mondo si è concesso un lucido sfogo. La durezza delle sue affermazioni è mitigata dalla consapevolezza di essersi messo alle spalle la tempesta. Ma quello che dice non può essere liquidato con un titolo acchiappa-click. La frase che ha fatto uscire l'intervista dai confini svedesi, in effetti, fa impressione.

“Ho cercato su Google diversi modi per suicidarmi”. Non ha detto proprio così. Semplicemente, in un momento di lucidità, ha consultato la cronologia del suo computer. E in effetti ha scoperto di aver fatto una ricerca del genere. “Non ho memoria di averlo fatto. Non ho mai voluto morire, ma tutto era meglio di questa vita all'inferno”. Soderling ha squarciato il tabù sulla salute mentale per gli sportivi. Non se ne parla quasi mai, e quando accade avviene in modo superficiale. Accostare il suo caso a quello di Todd Reid, morto (probabilmente) suicida meno di due anni fa, mette i brividi. L'australiano aveva la sua stessa età, ma non ha avuto successo come lui. Vincitore di Wimbledon junior, non è mai entrato tra i top-100 ATP. Coetaneo dello svedese, fu costretto al ritiro dalla mononucleosi (come Soderling) e aveva effettuato alcuni tentativi di rientro, falliti (come Soderling). L'epilogo spaventa. Forse Reid non ha trovato il coraggio di condividere il suo malessere, forse non aveva nessuno accanto, forse la sua sensazione di fallimento era più profonda.

31 maggio 2009: Robin Soderling infligge a Rafa Nadal la prima sconfitta sulla terra di Parigi

"Nella cronologia del mio computer ho trovato ricerche sui modi per suicidarsi. Non ho memoria di averlo fatto. Non ho mai voluto morire, ma tutto era meglio di questa vita all'inferno" Robin Soderling

La vita di Soderling è cambiata nel 2009, quando ha spodestato Rafael Nadal dal trono del Roland Garros. Una delle più grandi sorprese dell'Era Open. Si spinse in finale ed entrò nell'elite dei top-players. Ancora finalista l'anno dopo, si sarebbe issato fino al numero 4. “I problemi con l'ansia sono iniziati dopo quella partita – ha detto – sentivo il peso di essere all'altezza delle aspettative. Potevo perdere solo contro Federer, Nadal e Djokovic: contro gli altri sarebbe stato un fallimento”. Una tensione che lo ha bruciato dentro, conducendolo alla mononucleosi. “Mi è venuta perché mi sono allenato troppo. Non mi fermavo davanti a nulla, per me il tennis era più importante di tutto. Non mi interessava se dopo sarei rimasto in sedia a rotelle. Girava tutto intorno al tennis”. Non poteva durare. Ha avvertito i primi sintomi a Wimbledon 2011, ma li ha sottovalutati. Così ha giocato il torneo di casa, a Bastad, stravincendolo. 6-1 6-0 a Berdych, 6-2 6-2 a Ferrer. Nessuno avrebbe immaginato che sarebbe stata la sua ultima partita, ad appena 27 anni. Dopo quel torneo, un'altra crisi. Stavolta era in auto, in Francia.

Un'improvvisa mancanza di ossigeno lo ha costretto a fermarsi sul ciglio della strada. Riuscì ad arrivare a Monte Carlo (dove abitava) solo grazie a Jenni Olstrom, sua storica compagna. Insieme hanno avuto due figli, Olivia di 7 anni e Fred di 4. Fu l'inizio di un calvario. Non giocò a Cincinnati per mal di testa e dolori di stomaco, ma il punto di non ritorno sarebbe arrivato pochi giorni dopo, allo Us Open. La sera prima di affrontare Louk Sorensen si trovava a cena con il suo staff, in un ristorante di Manhattan. “Mi è preso un attacco di panico e mi sono messo a piangere – racconta – ho detto che non sarei stato in grado di giocare. Nessuno ha provato a dissuadermi. Il giorno dopo ho detto al medico del torneo che avevo un terribile mal di testa e non potevo muovermi”. Chi lo ha visto in allenamento in quei giorni lo ricorda con le mani sui fianchi, testa china e sguardo spento. Abbattuto. Si sarebbe rifugiato in hotel, gettandosi sul letto tra lacrime e attacchi di panico. “Qualsiasi fosse la mia volontà, non avrei potuto giocare a tennis neanche con una pistola puntata alla tempia”. Fu l'inizio di un periodo tremendo, in cui le menomazioni fisiche si mischiavano con la depressione.

"Fate sport e sognate, ma se avete successo dovete fare un passo indietro e costruirvi una vita alternativa. Io non sono stato in grado di farlo" Robin Soderling

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    I titoli ATP conquistati da Robin Soderling. Il più importante è stato il Masters 1000 di Parigi Bercy nel 2010. Vanta due finali al Roland Garros e il 15 novembre 2010 si è accomodato al numero 4 della classifica mondiale.

“Sono stato travolto da un'ansia permanente, che mi ha consumato dall'interno. Ero seduto nel mio appartamento e osservavo il vuoto senza capire. Ogni minuto sembrava un'ora. Ogni minimo rumore mi faceva paura. Quando la posta cadeva sullo zerbino avevo un tale panico da cadere per terra. E se suonava il telefono, tremavo di paura”. Ogni mattina si svegliava senza sapere come gestire la giornata fino al sonno. “Ammesso che fossi riuscito a dormire”. L'incubo è durato 6 mesi. Quando la testa ha ripreso a funzionare, ha effettuato una serie di tentativi di rientro. Ma il corpo non ce la faceva. Non appena aumentava l'intensità degli allenamenti, il fisico gli diceva di no. Da lì, la scelta di ritirarsi e restare nel tennis in altri ruoli. Ha lanciato la sua azienda di palline, poi arricchita con corde e grip. Ha trovato un discreto posizionamento nel mercato, col fatturato che cresce annualmente del 30-40% (oggi ha toccato i 10 milioni di corone, quasi un milione di euro). È diventato direttore del torneo ATP di Stoccolma, per qualche tempo è stato l'allenatore di Elias Ymer e quest'anno è stato nominato capitano della squadra svedese di Coppa Davis. Sotto la sua guida (in una serie giocata con palline griffate RS), i fratelli Ymer hanno battuto il Cile e hanno conquistato un posto per Madrid. Un curriculum niente male, non certo da persona depressa.

Certi fantasmi appartengono al passato. Tuttavia, Soderling ha scelto ugualmente di raccontarli. “Si parla raramente dei problemi psicologici degli atleti. Per questo ho voluto testimoniare. Alle giovani promesse consiglio di allenarsi duro e rilassarsi. Fate sport e sognate, ma se avete successo dovete fare un passo indietro e costruirvi una vita alternativa. Io non sono stato in grado di farlo. Lo sport non è una danza sulle rose: avere successo significa sottomettersi”. Parole forti e sorprendenti, soprattutto se a pronunciarle è uno come lui. Lo ricordiamo sicuro di sé, grintoso, persino irridente. Nel 2007 prese in giro Nadal per il suo gesto di aggiustarsi i calzoni prima di ogni punto. “Non ce l'avevo particolarmente con lui, ma si arrabbiò moltissimo. Ci siamo chiariti dopo qualche anno”. Col suo modo di fare, aveva disintegrato i luoghi comuni sugli svedesi. Non era un mostro di simpatia: persino un tipo tranquillo come Andreas Seppi fece il suo nome quando gli chiesero del tennista più antipatico.

Ma nessuno sapeva cosa c'era dietro: ossessione. “Anche nei momenti di difficoltà mi dicevo 'avanti, avanti, avanti'. Mi allenavo sempre di più e sul lungo termine mi ha fatto male. Essere un'atleta d'elite non fa bene alla salute: facevo ogni cosa in funzione del tennis: mi domandavo se fosse il caso di mangiare una mela o concedermi una serata al cinema”. A un certo punto il suo corpo si è ribellato, poi anche la sua mente. E ha rischiato grosso. Lui ce l'ha fatta, anche grazie al benessere e all'aiuto della famiglia. Qualcuno, dall'altra parte del mondo, non ha avuto la stessa fortuna. Robin Soderling ha raccontato il lato oscuro del tennis. Un lato che può far paura. Soltanto conoscendolo, ed esponendolo alla luce, si potranno ridurre casi del genere. Chissà quanti ce ne sono. Nascosti, mimetizzati, mai raccontati.