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L'OPINIONE

E se Djokovic avesse la soluzione in casa?

Dopo l'uscita di scena di Goran Ivanisevic, il n.1 del mondo non cercherà (per adesso) un nome nuovo. Ma c'è una figura che da qualche tempo è sempre più importante nell'ecosistema Djokovic: lo spagnolo Carlos Gomez Herrera, 34 anni. E se fosse lui il nuovo punto di riferimento, come fu Severin Luthi per Federer?

Riccardo Bisti
30 marzo 2024

“Non ho ancora le idee chiare su chi potrebbe essere il mio nuovo allenatore, e se ci sarà qualcuno. Ho avuto un coach sin da quando ero piccolo, adesso sto cercando di capire di cosa ho bisogno, cosa mi fa sentire a posto. Sarete informati se qualcuno entrerà nel team”. Novak Djokovic ha liquidato così la questione coach dopo la separazione con Goran Ivanisevic. Mentre si susseguono le congetture sulle motivazioni dell'addio (l'ultima riguarderebbe la scarsa capacità di Ivanisevic di dare consigli durante i match, da quando il coaching è stato definitivamente sdoganato nell'estate 2022), la prospettiva di un Djokovic senza allenatore è suggestiva. E alimenta le riflessioni sul ruolo e l'utilità del coach di un professionista. Diversi anni fa, ragionando su un Roger Federer senza allenatore, ESPN definì così la figura dell'allenatore moderno: “può variare da tattico a esperto di strategia, psicologo, agente di viaggio, baby sitter, genitore sostitutivo e migliore amico. Spesso comprende tutte queste sfaccettature”. In realtà un buon allenatore è cruciale in tutte le fasi della carriera di un tennista. È superfluo sottolineare l'importanza per un ragazzino in formazione, mentre tra i professionisti è necessario quel qualcosa in più che può fare la differenza. A volte è il 2%, altre il 5%, ma nell'ultra-competitività attuale può essere decisivo.

Il discorso si fa più complesso quando si parla di una leggenda del gioco, uno che conosce tutti i segreti possibili e immaginabili. E Novak Djokovic fa parte di questa elite. Per questo vale la pena ricordare i giocatori più forti che abbiano svolto significativi stint della loro carriera senza coach. Il caso più eclatante è John McEnroe. Se è vero che negli anni '80 il professionismo era meno sfrenato di oggi, è ragionevole pensare che l'assenza di un allenatore (salvo un breve periodo con Toni Palafox) abbia danneggiato la sua carriera. Ha giocato la sua ultima finale Slam a 26 anni (Us Open 1985), si è preso un anno sabbatico e poi non è più stato lo stesso. Ci fosse stato qualcuno in grado di incanalarne il talento... chissà. Il suo principale rivale, Ivan Lendl, è stato più longevo e più vincente anche in virtù di una professionalità sfrenata. Ce l'aveva nel sangue, ma Tony Roche non fu certo estraneo. E ci si domanda se Bjorn Borg sarebbe andato in burnout ancora prima del 1982 se non avesse avuto Lennart Bergelin al suo fianco. Un po' diverso il caso dell'altro Big Four di quegli anni, Jimmy Connors. Sebbene si sia allenato da ragazzino con Pancho Segura, ha avuto una sola figura di riferimento per tutta la carriera: mamma Gloria, che le faceva da allenatrice e anche da manager.

Lo sapevi che...

Non se ne parla molto, ma Novak Djokovic è a un passo dal conquistare un altro record: lunedì 8 aprile diventerà il più anziano numero 1 nella storia del tennis. Il primato attuale appartiene a Roger Federer: lo svizzero aveva 36 anni, 10 mesi e 10 giorni quando fu in vetta per l'ultima volta. Djokovic avrà esattamente la stessa età lunedì prossimo, quando lo raggiungerà. Dovrà pazientare il lunedì successivo per intascare l'ennesimo primato: allora avrà 36 anni, 10 mesi e 17 giorni.

C'è poi stato lo spartiacque del 1990, anno in cui l'ATP ha preso in mano il tennis mondiale e il circuito è diventato sempre più duro e bisognoso di professionisti. Oggi il coach è spesso il perno centrale di un team che comprende figure di vario genere: preparatori atletici, fisioterapisti, mental coach, manager, portavoce e chissà cos'altro spunterà. Tutti i big degli ultimi 30 anni – sia pure con le loro specificità – hanno sempre avuto una guida. Pete Sampras ha avuto il compianto Tim Gullikson e poi Paul Annacone, Andre Agassi è cresciuto con Bollettieri e poi ha vinto tutto con Brad Gilbert. Stefan Edberg ha avuto Tony Pickard, mentre Boris Becker è stato più capriccioso: dopo essere stato allevato da Gunther Bosch e Ion Tiriac, ha cambiato diversi tecnici nella seconda parte di carriera, ma non è mai rimasto solo. Inutile citare il caso di Rafael Nadal, fedelissimo a zio Toni e alla sua emanazione (Carlos Moyà), mentre Andy Murray ha vissuto gli anni migliori con Ivan Lendl dopo avuto diversi allenatori. Rimane il caso di Federer che – in effetti – ha vissuto alcuni dei suoi anni migliori senza un head coach. Nel 2004 era da solo quando ha vinto undici titoli (tra cui tre Slam), infilando un bilancio di 74 vittorie e 6 sconfitte. C'è poi stato un biennio part-time con Tony Roche e un breve periodo con Josè Higueras.

“Ha una grande capacità di comprendere il gioco e risolvere i problemi – diceva a suo tempo Darren Cahill, attuale tecnico di Sinner – è tra i più bravi a farlo durante una partita e credo che vincerà molti altri Slam”. Non era il più difficile dei pronostici, ma da allora ne avrebbe intascati altri otto. Sarebbero poi arrivati Paul Annacone, Stefan Edberg e Ivan Ljubicic. Sull'ultimo, sembra profetica una frase pronunciata da Kevin Curren (ex finalista di Wimbledon) nel 2008. “Federer capisce bene il gioco, ma potrebbe avere bisogno di qualcuno che lo aiuti a decifrare Nadal per il modo in cui lo spagnolo ha colmato il divario”. King Roger ha impiegato otto anni per assumere una figura (Ljubicic, appunto) decisiva per permettergli di decrittare il gioco dello spagnolo. Per quanto Rafa abbia chiuso 24-16 negli scontri diretti, Federer ha vinto sei degli ultimi sette. Guarda caso, da quando c'era Ljubicic al suo fianco. La scelta di Djokovic, dunque, è quasi inedita. Federer ha scelto l'autogestione quando era ancora giovane, poi si è sempre appoggiato a qualcuno. E il caso di Nick Kyrgios non è certo calzante (“Nessuno conosce il mio tennis meglio di me, e comunque non darei a nessuno il peso di sostenermi”).

Djokovic e Gomez Herrera festeggiano il successo allo Us Open 2023

Tuttavia, nel caso di Djokovic c'è un asterisco che potrebbe accomunarlo a Federer: una sorta di coach-ombra. Per tanti anni, Severin Luthi ha girato con lo svizzero, presenziando a ogni torneo, presente anche (e soprattutto) quando mancava l'head coach di turno. Luthi ha assunto questo ruolo nel 2007, quando aveva 31 anni. Bene: i più attenti si saranno accorti che nel clan Djokovic c'è una figura simile, sia pure con peculiarità tutte sue: Carlos Gomez Herrera. Classe 1990, ex numero 268 ATP (Luthi era stato 622), conosce Nole sin dal 2008, quando il torneo di Madrid si giocava ancora indoor. Nato a Marbella (laddove Djokovic trascorre diversi periodi di allenamento), è il migliore amico del fratello Marko. “Avendo giocato diversi tornei con lui, in un certo senso è diventato un membro della nostra famiglia, una persona a cui siamo molto legati. Ci siamo allenati insieme tante volte quando giocava ancora. Dopo il suo ritiro, nel 2022, abbiamo parlato e ho voluto che si unisse al team. Goran e gli altri membri erano d'accordo”: La figura di Gomez Herrera si è fatta rapidamente spazio nel clan Djokovic. Inizialmente faceva soltanto lo sparring partner permanente, ma osservando il clan durante le partite era spesso lui il più vocale, il più espressivo.

Più di un osservatore si domandava se non fosse lui a comandare. “Oltre a essere uno sparring è anche un assistant coach – diceva Djokovic lo scorso luglio – è una persona molto organizzata e sta contribuendo al nostro team sia dal punto di vista logistico che analitico”. I due hanno iniziato ad allenarsi con continuità durante lo stop per Covid, nel 2020, a Marbella. Nel 2021 hanno addirittura giocato il doppio insieme al torneo ATP di Maiorca, arrivando in finale. Gomez Herrera è considerato un pilastro emotivo essenziale nell'ecosistema Djokovic, e già lo scorso autunno qualcuno sussurrava che avrebbe avuto un ruolo sempre più determinante nel processo decisionale, quando sono usciti dall'organigramma Dodo Artaldi ed Elena Cappellaro. Ex assistente di Manolo Santana nel suo club a Marbella, adesso potrebbe diventare davvero una figura cruciale nell'ultima parte di carriera di Djokovic. Col tempo, Severin Luthi ha dimostrato di essere un validissimo tecnico. Da parte sua, Gomez Herrera ha un carattere più ruspante, ma meno tempo a disposizione. Chissà se sarà in grado di convincere Djokovic a non consultare la rubrica telefonica alla voce “coach”.