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OLIMPIADI

Da spettro a privilegio: tutte le facce della pressione

Il peso delle aspettative può essere una spinta per rendere al meglio, ma anche una zavorra difficile da gestire: il torneo Olimpico sta mostrando le due facce della realtà. Naomi Osaka non ha retto alla pressione, mentre Liam Broady sta giocando il torneo della vita.

Riccardo Bisti
28 luglio 2021

Per alcuni, la pressione è un privilegio. Per altri è un dramma. Per altri ancora non esiste, visto che quella vera riguarderebbe ben altri campi della vita. L'argomento torna spesso di moda: un dilemma che dura da decenni ed è amplificato dalle Olimpiadi. Si può discutere all'infinito sulla loro importanza nel tennis, ma non c'è dubbio che siano un evento unico. Se fallisci, non è detto che ci sarà un'altra chance. L'ultima a parlarne è stata Naomi Osaka, di nuovo loquace con i giornalisti dopo il silenzio stampa che tanto aveva fatto discutere, fino a convincerla a ritirarsi a Parigi. “Sento che dovrei esserci abituata – ha detto dopo la sconfitta contro Marketa Vondrousova – però credo che tutto sia amplificato dalla pausa che mi sono presa. Sono triste per la sconfitta, ma tutto sommato felice della mia esperienza olimpica”. La Osaka aveva saputo a marzo che avrebbe avuto un ruolo cruciale nella cerimonia d'apertura: ultima tedofora, col compito di accendere il braciere olimpico.

Quattro mesi in cui ha potuto elaborare il significato di un'Olimpiade in casa, ancora di più per lei, che non è giapponese purosangue. Da quelle parti, li chiamano hafu. Un trionfo olimpico avrebbe avuto un grande significato simbolico nella società giapponese, una di quelle col minor grado di contaminazione tra razze. Chissà cosa le sarà passato per la testa, nel 6-1 6-4 incassato contro Marketa Vondrousova. “Non riesco a immaginare quanta pressione potesse avere – ha detto la ceca – so cosa significa vivere certe situazioni, ed è dura. Oggi Naomi è la più grande, e ha dovuto giocare le Olimpiadi in casa. Deve essere stata dura per lei. Non credo abbia giocato male: ha combattuto per tutto il match, è rimasta calma, ci ha provato fino all'ultimo punto. A un certo punto il match poteva prendere qualsiasi direzione”. Vero a metà: la Osaka ci ha provato, certo, ma ha commesso una media di due errori gratuiti a game. Difficile spuntarla se parti sempre da 0-30. In un altro contesto non avrebbe giocato così male.

ASICS ROMA
"La pressione aiuta a giocare a meglio. Penso che in queste situazioni emerga il meglio di un atleta, perché è al top della concentrazione"
Andy Murray

Naomi Osaka ha acceso il braciere olimpico durante la cerimonia inaugurale

Lo sa bene Andy Murray, uno che conosce come pochi le insidie della pressione. Per anni lo hanno sfinito con l'incubo Slam, quel titolo che mancava a un britannico da oltre 70 anni. Quando ha vinto lo Us Open, qualcuno non era ancora soddisfatto: volevano Wimbledon. Lui l'ha vinto due volte, togliendosi lo sfizio di intascare due ori olimpici. Lo scozzese ha rinunciato al singolare a Tokyo, ma si sta giocando le sue carte in doppio con Joe Salisbury. Secondo Murray, la pressione deve essere accolta e non vista come qualcosa di negativo. Può essere una fonte di ispirazione. “So che non è così per tutti, ma io amo essere sotto pressione – ha detto – amo sentire i nervi perchè aiuta a concentrarsi e giocare meglio. I 45-60 minuti prima di un match sono più complicati perché pensi troppo e sei pieno di dubbi. Ma quando scendi in campo e inizi a colpire, vuoi sentirla tutta. Ti aiuta a giocare a meglio. Penso che in queste situazioni emerga il meglio di un atleta, perché è al top della concentrazione”.

Parola di uno che, dopo aver vinto Wimbledon, si è istintivamente voltato verso la tribuna stampa, come a gridare ai giornalisti. “Ehi, malfidati, visto che ce l'ho fatta?”. Se il tabellone femminile non è stato mutilato dalle assenze come il maschile, ci ha pensato il campo a falcidiarlo. Nei quarti c'erano solo due delle prime otto teste di serie, con Elina Svitolina unica tra le top-5. Ma non bisogna pensare che la zavorra psicologica esista solo per i favoriti o le teste di serie. Gli underdog hanno un diverso peso delle aspettative, ma questo non significa che non abbiano mille pensieri ad annebbiare la mente. Basta chiedere a Liam Broady, uno dei giocatori con peggior classifica tra quelli ammessi a Tokyo. Ha prodotto una delle più grandi sorprese, battendo Hubert Hurkacz in tre set. “Una buona vittoria – ha sorriso il n.143 ATP – la migliore della mia carriera, in un contesto d'eccellenza”. Broady è ancora giovane, avrà altre chance, ma fino a oggi il torneo olimpico rappresenza l'apice della sua carriera.

Liam Broady è il giocatore di più bassa classifica tra quelli giunti negli ottavi

Vincendo Wimbledon nel 2013, Andy Murray ha compiuto uno dei più grandi capolavori nella gestione di pressione e aspettative

Da giocatore di secondo piano, ci teneva da matti a esserci. Telefonate intercontinentali, tamponi anti-COVID uno dopo l'altro, infinite trattative e alla fine un posto letto nel Villaggio Olimpico insieme al team britannico di ginnastica. Tutto questo ha alimentato la pressione. “Quando mi hanno chiamato, ho chiesto al nostro capodelegazione se avrei fatto la riserva o giocato il torneo – prosegue Broady – mi hanno detto che probabilmente avrei giocato, quindi ho chiamato il mio coach e gli ho spiegato la scelta, rinunciando al Challenger di Lexington e alle qualificazioni di Atlanta”. Il torneo olimpico non offre punti e nemmeno soldi (salvo i premi messi in palio dai comitati nazionali), dunque rappresenta un rischio professionale. È ancora più dura per quelli come Broady, costretti a rinunciare a un paio di tornei che potrebbero essere utili per carriera e sostentamento.

Volevo prendere la decisione giusta per la mia carriera – racconta – e sapevo di prendere un rischio perché, con poco preavviso, non pensavo di giocare bene. Per fortuna mi sono sbagliato. Da un anno e mezzo ho messo ordine nel mio tennis, creando stabilità anche fuori dal campo, e questo sta iniziando a dare i suoi frutti. Il risultato olimpico sta confermando la bontà del mio lavoro. Quando mi sarò ritirato non voglio avere rimpianti: forse giocherò a Parigi nel 2024, ma forse no. Non volevo restare col rimpianto di aver perso la possibilità di rappresentare il mio Paese alle Olimpiadi”. Non è difficile trovare una morale tra le storie di Osaka e Broady: a prescindere dal risultato, è innegabile che certi eventi mettano più pressione sugli atleti. Le Olimpiadi, con la loro tempistica, sono forse il torneo più difficile. Hai voglia a dire che non sono importanti, ma quando sei in campo avverti la loro unicità. E i risultati possono essere molto, molto diversi. Sarà pur vero cha la pressione sia un privilegio, come ha sempre sostenuto Billie Jean King, al punto da intitolarci un libro. Ma non tutti la sanno gestire allo stesso modo. E questo rende le Olimpiadi (tennis compreso) molto, molto affascinanti.