Il più scarso semifinalista di Wimbledon
Vladimir Voltchkov si è spinto in semifinale a Wimbledon da numero 237 ATP. Si fece prestare i pantaloni da Safin, guardò Il Gladiatore per quattro volte e rifiutò di indossare i capi di un'azienda che voleva vestirlo per il solo match con Sampras. La fiaba finì con una volèe affossata nel tie-break del primo set.
Riccardo Bisti | 6 luglio 2020 |
Il più scarso semifinalista Slam di sempre. Per anni, l'etichetta è finita accanto al nome di Cristophe Roger Vasselin. Nel 1983 giocò il torneo della vita al Roland Garros, battendo anche Jimmy Connors prima di cedere a Yannick Noah. Zero titoli ATP, best ranking al numero 29. Qualche anno dopo, la storia gli ha concesso un compare. Senza l'incubo COVID, oggi si sarebbe giocato il Manic Monday di Wimbledon, quella giornata tanto affascinante quanto schizofrenica in cui si giocano tutti gli ottavi, sia maschili che femminili. Vent'anni fa, il match tra Wayne Ferreira e Vladimir Voltchkov non era una sfida di cartello. Però spalancò le porte al torneo da favola del bielorusso. Vinse in tre set, poi un paio di giorni dopo avrebbe superato Byron Black per accedere alle semifinali, affiancando Roger Vasselin nella filastrocca sul più scarso bla, bla, bla. C'è un pizzico di amarezza, nello scorrere quel tabellone. Negli ottavi, Black battè il nostro Gianluca Pozzi. In caso di successo, il barese si sarebbe giocato la clamorosa possibilità di centrare la semifinale.
In quei giorni, tuttavia, i pianeti si erano allineati per il bielorusso, figlio di Nicolai e Lyudmila, due operai in una fabbrica di automobili. Tipica famiglia vissuta nell'Unione Sovietica, avvolta dal comunismo. Vita banale, di sacrifici e sofferenze. Ma c'era un ingranaggio fuoriposto: un campo da tennis in erba sintetica, al coperto, proprio a due passi dalla fabbrica. Fu lì che il piccolo Vladimir ha iniziato a giocare a tennis. Talento puro, aiutato dallo sgretolamento dell'Unione Sovietica e dalle ritrovate possibilità di viaggiare. Arrivava dalla Bielorussia anche Natasha Zvereva, la donna che nel 1989 si ribellò pubblicamente a un sistema che si prendeva tutti i guadagni dei giocatori. Arrivando qualche anno dopo, Voltchkov non ha dovuto combattere per tenersi i soldi. Ne avevano un gran bisogno, in famiglia. In quei giorni del 2000, si diceva che mamma Lyudmila guadagnasse poco più di 7 sterline a settimana. Con quella semifinale, il figlio ne avrebbe intascate 120.000. Oggi sarebbero molte di più.
"Un'azienda voleva vestirmi per la semifinale di Wimbledon. Mi dissero che avrebbero voluto vedermi all'opera prima di siglare un contratto. Questa cosa non mi è piaciuta, allora ho detto no" Vladimir Voltchkov
Da ragazzino tirava pallate dappertutto, anche nella sua cameretta, rovinando la carta da parati. Nel 1996 vinse la prova junior di Wimbledon. “Quel successo mi ha dato grande spinta, però pensavo che i risultati sarebbero arrivati subito. Mi sono messo troppa pressione e da lì sono partiti i cattivi pensieri”. Li aveva anche nel 2000, da numero 237 ATP, umile iscritto alle qualificazioni. Aveva affittato una casa nei pressi di Wimbledon insieme al connazionale Max Mirnyi, e nessuno – davvero nessuno – pensava che ci sarebbe rimasto tre settimane. Già prima di giocare il secondo turno del main draw rimase senza abiti di ricambio, al punto da chiedere a Marat Safin di prestargli un paio di pantaloncini. Via Chela, via Pioline (n.6 del tabellone, finalista tre anni prima), via El Aynaoui, via Ferreira, via Black. In semifinale c'erano tre mostri sacri: Pete Sampras, Andre Agassi, Pat Rafter... più l'intruso.
Fino ai quarti era passato sottotraccia, come se il suo segnale non fosse interessante per i radar. All'improvviso si accorsero di lui, scoprendo tante piccole storie. Per esempio, che papà Nicolai gli preparava un pancake ogni giorno, e che non uscivano praticamente mai dall'appartamento portafortuna. Ad accompagnarlo nell'avventura londinese, un film, Il Gladiatore. La figura di Russell Crowe lo aveva affascinato a tal punto da guardarlo per quattro volte. La faccenda incuriosì a tal punto che lo soprannominarono Vladiator. L'ispirazione del film gli sarebbe servita per affrontare Sampras. “Forse è il più forte di sempre – diceva – non mi pare che abbia debolezze, può giocare un tennis incredibile”. Era il primo qualificato a spingersi in semifinale dai tempi di John McEnroe. Impresa tale da rimbombare nei palazzi presidenziali, al punto da convincere il presidente Aleksandr Lukashenko a chiamarlo per fargli gli auguri. Vent'anni dopo è ancora al suo posto. Forse è l'unica cosa rimasta uguale rispetto ad allora.
Contro Sampras, Vladiator ha giocato uno splendido primo set. Brillante, a viso aperto. Lo ha trascinato al tie-break. Sotto 4-5 e col servizio a disposizione, ha giocato uno splendido punto. Se lo era costruito, avrebbe potuto chiudere con una volèe non impossibile. L'ha affossata in rete e lì è finito tutto. 7-6 6-2 6-4. Con la stretta di mano, non finì soltanto la sua permanenza a Wimbledon. Sarebbe terminata la sua frequentazione del grande tennis. Si sarebbe spinto fino al n.25 ATP, ma non ha vinto neanche un torneo (proprio come Roger Vasselin). Qualche tempo dopo, insieme a Mirnyi, avrebbe messo di nuovo la Bielorussia nella geografia del tennis. Grazie al fattore campo, sarebbero arrivati in semifinale di Coppa Davis. Qualche anno dopo, il Paese avrebbe addirittura trovato una numero 1 del mondo e una campionessa Slam in Victoria Azarenka. Anche lei cresciuta in una famiglia non ricca, emersa da un palestrone multiuso. Ma i primi segni di gloria sono arrivati a Vladimator Voltchkov e la sua dignità, mischiata a orgoglio.
Per la semifinale contro Sampras, indossò un badge del giornale britannico “Mirror”. In cambio della visibilità, gli diedero 5.000 sterline. Avevano fatto un investimento simile sul pugile Julius Francis, avversario di Mike Tyson. Ebbero ancora più riscontri grazie a Voltchkov, che fu anche contattato da un'importante azienda di abbigliamento. Volevano vestirlo per la sola partita contro Sampras. “Mi dissero che avrebbero voluto vedermi all'opera prima di siglare un contratto a lungo termine – disse – questa cosa non mi è piaciuta, allora ho continuato con il mio solito completo. Ovviamente l'ho lavato prima di scendere in campo”. Polo Nike, calzoncini Adidas. In semifinale di Wimbledon. La storia si può fare anche così.