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DOCU-SERIE

Una Squadra

Scatta la docu-serie che racconta l'epopea del 1976, quando l'Italia vinse la sua unica Coppa Davis tra mille contestazioni per la scelta di giocare nel Cile del dittatore Augusto Pinochet. La serie è anticipata da un docu-film trasmesso nei cinema, in cui la vicenda è sintetizzata in 88 minuti. Noi lo abbiamo visto.

Giulia Zoppi
15 maggio 2022

«Raccontiamo una squadra. Ma una squadra divisa, frammentata, con al suo interno rapporti difficili, a volte conflittuali, sia tra i giocatori che con chi li guida e allena. Una squadra, una nazionale, che nel momento in cui ha la vittoria a portata di mano viene osteggiata e combattuta nel suo stesso Paese. E nonostante tutto questo, in quegli anni la squadra più forte del mondo». Domenico Procacci

Magnificent Obsession, pellicola girata da Douglas Sirk nel 1954 ed interpretata da Rock Hudson e Jane Wyman, è una storia d’amore venata da immagini drammatiche e melò, che nulla hanno a che fare con lo sport. Eppure, quando si parla di “magnifica ossessione” si evoca, ogni volta, quel sentimento intenso e duraturo che accumuna tante cose a cui ci affezioniamo oltre misura: il cinema e il tennis fanno parte di quelle cose. La stessa magnifica ossessione che unisce cinefilia e il cosiddetto sport “dei gesti bianchi”, evoca passioni solitarie e segrete, come le mille battaglie mentali del tennista durante il match, o dello spettatore seduto nel buio della sala, impegnato ad immergersi in storie altrui, in un dialogo intimo e silenzioso. In quei momenti il mondo si srotola e si accende negli anfratti della mente, per muovere immagini ed emozioni a ciclo continuo, in una lotta senza quartiere che nel tennis si palesa nella conquista della vittoria, e nel cinema nella ricerca di una realtà che nel gettarci in un mondo alternativo, ci porta altrove. Di questa incapacità di sottrarci al gioco (sul campo e sulla scena, come dicono gli anglosassoni con il verbo to play, che connota tanto il giocare che la recitazione) parla il docu-film trasmesso gli scorsi 2-3-4 maggio nei cinema italiani: "Una squadra", diretto, ed è un debutto, dal celebre Domenico Procacci, produttore cinematografico della Fandango Film, ossessionato tanto dal cinema che dal tennis, come si evince dalle dichiarazioni che hanno accompagnato l’uscita della sua opera prima. Due malattie inguaribili e pervasive quelle dei cinefili, come dei tennisti o sedicenti tali, che Procacci celebra con un’opera breve ma intensa, come possono esserlo alcune partite giocate al meglio dei tre set. 88 minuti di testimonianze pescate dall’archivio dell’Istituto Luce, mischiate ad interviste incrociate a chi quella coppa vinse (ma anche a chi la perse), che provano a raccontare lo svolgimento di una vicenda che resta nell’immaginario collettivo di tutti.

Il documentario precede una serie di sei episodi scattata sabato 14 maggio su Sky Documentaries, scritta dallo stesso Domenico Procacci, Lucio Biancatelli e Sandro Veronesi, la cui presentazione (ridotta a 74 minuti), è avvenuta nell’ambito della 39esima edizione del Torino Film Festival, nel novembre 2021, e vuole essere sia l’omaggio ad una squadra di tennisti indimenticabili, che lo spaccato di un periodo storico cupo e controverso, che ebbe pochi momenti di luce. La Davis fu uno tra questi. Procacci fa ampio uso di repertorio in B/N, mostrando brevi filmati o stralci di giornali dell’epoca, entrando subito nel corpus della questione nazionale che vide crescere un acceso dibattito dove politica, media, sport, opinione pubblica e spettacolo si intrecciarono per dare colore ad un periodo attraversato dal terrorismo nero e rosso e dagli umori di una classe dirigente, politica e non, alle prese con i tanti problemi di un Paese diviso e ferito da morti e contrasti. Nel 1975 il Partito Comunista aveva ottenuto un risultato eccezionale alle elezioni amministrative e in molti temevano (o auspicavano) il “sorpasso” sulla Democrazia Cristiana. Anche se non si verificò, alle elezioni anticipate di giugno il Partito Comunista di Enrico Berlinguer raggiunse il suo massimo storico ottenendo oltre 12 milioni di voti. Tra un’elezione e l’altra il tennis italiano stava mostrando il meglio di sé, dando vita ad una lunga serie di prestigiose vittorie sui campi di tutto il mondo. All’epoca Adriano Panatta aveva 26 anni e si era aggiudicato il torneo degli Internazionali di Roma nel mese di maggio, mentre a giugno era stato il momento della vittoria a Parigi, al Roland Garros. Ad agosto, invece, insieme al compagno di doppio Bertolucci, a Barazzutti e Zugarelli, riuscì a battere la Gran Bretagna a Wimbledon, nella finale europea della Coppa Davis, un risultato che permise alla squadra di arrivare a disputare le semifinali intercontinentali.

L'idea di giocare a Santiago del Cile incontrò una feroce opposizione che Procacci documenta ampiamente, attraverso documenti filmati e dichiarazioni a mezzo stampa che coinvolsero politici, giornalisti, attori e persino Domenico Modugno.
ASICS ROMA

Il trailer del docu-film diretto da Domenico Procacci

Nel 1976 il Cile era governato, da tre anni, dalla più efferata dittatura sudamericana del Novecento, che l’11 settembre del 1973 aveva deposto Salvador Allende, suicidatosi nel palazzo presidenziale, sotto i bombardamenti dell’aviazione militare. Il generale Augusto Pinochet, salito al potere con il sostegno dei servizi segreti americani, avrebbe governato il paese per 17 lunghissimi anni. Il regime di Pinochet si distinse, fin da subito, per la violenta oppressione degli oppositori politici, veri o presunti tali. Dopo il golpe lo Stadio Nazionale di Santiago divenne un enorme campo di concentramento dove furono torturate e interrogate oltre 40.000 persone, molte delle quali vi scomparvero dentro, per sempre. Con queste premesse l’idea di giocare a Santiago del Cile incontrò una feroce opposizione che Procacci documenta ampiamente, attraverso documenti filmati e dichiarazioni a mezzo stampa che coinvolsero politici, giornalisti, attori e persino Domenico Modugno che non si limitò a dichiararsi contrario alla trasferta cilena, rimarcando il suo dissenso con La ballata della Coppa Davis (testi di Calleri, musica di Modugno)

La sorte della Coppa è controversa
C’è chi vuol che si vada e viceversa
Io sono per no anche se poi
Sono sportivo come tutti voi
Ma purtroppo per il tennis
E per la Coppa Davis
Un solo guaio c’è
Un solo guaio c’è
E si chiama Pinochet
D’accordo che ci piace l’insalata
E che l’insalatiera è alla portata
Ma non mischiamo con faciloneria
La dittatura alla democrazia.
L’incontro Italia-Cile è solo una partita
Che vincere potremo se resteremo qua
Ma che facciamo? Andiamo da quel fascista
E gli diciam “Señor, hasta la vista!”
E poi prendendo in mano la racchetta
Dimentichiamo tutto così in fretta.
Non si giocano volée
Con il boia Pinochet

Nel montaggio a cura di Giogiò Franchini, in cui si alternano le interviste di oggi con le immagini di ieri, facendo largo uso della tecnica - molto usata nel documentario, del found footage -, rivediamo stralci del dibattito in prima serata, andato in onda sulla Rai il 27 novembre di quell’anno, la cui intera durata (75 min), era esclusivamente dedicata alla opportunità di partecipare o meno, e i momenti in cui il Partito Comunista decise di portare la questione in parlamento, per trovare una soluzione. Ad un certo punto del film si vede Ugo Tognazzi ammiccare e dichiarare in un’intervista: «Noi in Cile esporteremo automobili, sicuramente cinema, e importiamo rame. Ora, perché proprio Panatta non lo vogliamo esportare, e Bertolucci, Barazzutti e Pietrangeli?». Il clima del film si alleggerisce grazie all’intelligente alternanza di interviste che gli autori rivolgono a Panatta, Bertolucci, Barazzutti, Zugarelli e Pietrangeli, più o meno comodamente seduti, in scenari diversi, davanti alla cinepresa (Pietrangeli su un divano, circondato da una fitta rete di foto ricordo, appoggiate sul tavolo di un elegante salotto, Panatta accomodato dietro ad una terrazza panoramica, Barazzutti davanti ad una vetrata che mostra un giardino attrezzato per i giochi dei bambini, Zugarelli in una stanza luminosa che potrebbe far parte della scuola tennis del Foro Italico in cui lavora come direttore, come a rimarcare le loro inconciliabili differenze).

Da subito si capisce quello che il tennis sapeva da sempre: la squadra è spaccata in due fazioni: da una parte Panatta e Bertolucci, dall’altra Barazzutti e Zugarelli, mentre a Pietrangeli spettava il ruolo di bilanciere, pur senza possedere lo stesso ascendente sul gruppo dell’indimenticato Mario Belardinelli, responsabile tecnico della nazionale e padre putativo di Panatta e Bertolucci, in primis. Il gioco di specchi incrociati che il montaggio regala con sapienza a volte crudele, ci racconta dell’ironico, cinico e disincantato Adriano Panatta, tennista di grande talento e di altrettanta avvenenza, che a detta del suo capitano era anche capriccioso e prepotente; del placido, accomodante e pigro amico di una vita Bertolucci, al suo fianco dentro e fuori dal campo, entrambi contrapposti al puntuto, serio e accigliato friulano-piemontese Corrado Barazzutti, sodale dell’unico proletario del gruppo, quel Tonino Zugarelli, privato di una falange del pollice della mano destra (dovuto ad un incidente sul lavoro), di origini siciliane e mai domo, concreto, facile ad infiammarsi, spesso in polemica con Pietrangeli, per il ruolo di riserva che il capitano gli affibbiò sin da subito, contro la sua volontà. Ed è il loro parlarsi l’uno l’altro, seppur in separata sede, raccontando aneddoti più o meno noti, a dare il ritmo al racconto corale di un’impresa che si svolse tra i campi in terra rossa e sull’erba (la breve sequenza di una partita di doppio su un campo in erba a Londra, accompagnata da una musica che ne esalta la bellezza dei gesti aerei e leggeri, infonde un’idea di tennis scomparsa da tempo), dove tra screzi, divisioni, gelosie e ripicche (sottolineate da Pietrangeli, minimizzate dai 4, nonostante i distinguo), si è fatta la storia del tennis italiano. Mentre ci avviciniamo all’evento fa piacere sentire le voci originali di Fillol e Cornejo raccontarci la loro versione dei fatti, nelle partite contro Corrado Barazzutti e Adriano Panatta, e va notato che mai durante il loro racconto a bordo campo, in Cile, compaiono sottotitoli, dando per scontato che non ci sa bisogno di tradurre niente (a dimostrare una volta di più, quanto tennis e cinefilia viaggino sulla stessa linea dei sogni, mentre il mondo è di tutti e tutti sono del mondo, senza limiti e senza confini linguistici).

Quella Squadra era divisa in due fazioni: da una parte Panatta e Bertolucci, dall'altra Barazzutti e Zugarelli

Una delle tante interviste realizzate dai protagonisti de "Una Squadra"

La Coppa Davis allora si disputava tra team di quattro giocatori che si sfidavano nel giro di 3 giorni per ciascun turno, incrociandosi attraverso combinazioni diverse, tra singolari e doppi. Fino ad allora l’Italia l’aveva sfiorata per 2 volte tra il 1960 e il 1961. Prima in Australia a Sydney e poi a Melbourne, dove era sempre stata battuta dalla squadra locale. Nel settembre del 1976 si giocò però a Roma, al Foro Italico dove la squadra italiana sconfisse John Newcombe, Tony Roche e John Alexander, qualificandosi alla terza finale della sua storia. Dall’altra parte del tabellone l’Unione Sovietica, su decisione del segretario generale del Partito Comunista Leonid Brezhnev, si era rifiutata di ospitare il Cile per protesta contro il regime di Pinochet. Il Cile passò quindi automaticamente in finale, e in Italia – Paese che aveva ospitato numerosi esuli cileni e dove la questione era molto sentita — iniziarono le discussioni che si protrassero da settembre a dicembre. Solo i nostri giocatori, capitanati da Pietrangeli, erano intenzionati a partire per Santiago e vincere la famigerata Coppa. Il governo presieduto da Giulio Andreotti non si sbilanciò, e nemmeno il CONI di Giulio Onesti. Fu il Partito comunista cileno, dalla clandestinità, a chiedere a quello italiano di mandare la squadra a Santiago per non permettere al regime di Pinochet di vincere la coppa a tavolino, per la rinuncia dell’Italia. La finale ebbe luogo il 17 dicembre, proprio di fianco al famigerato Stadio Nazionale di cui sopra. Iniziò con la partita tra Jaime Fillol contro Corrado Barazzutti, vinta dall'azzurro. Panatta portò poi il risultato sul 2-0 battendo Patricio Cornejo. Il secondo giorno, sabato, toccò ancora a Panatta, nel doppio con Bertolucci. Il primo, notoriamente di sinistra, propose al compagno di indossare nei primi set due magliette rosse, come il colore dei fazzoletti che le donne cilene usavano per denunciare la scomparsa di padri, mariti e figli dietro la violenza del regime. La stampa e la televisione italiana seguirono poco o nulla quella finale per questioni legate ai dibattiti dei mesi precedenti, ed è per questa ragione che, anche in quest'ultimo contributo cinematografico, Procacci fa largo uso delle immagini girate in pellicola del filmaker napoletano Gigi Oliviero, commentate dalla voce calda e inconfondibile di Pino Locchi, allora doppiatore di Sean Connery (come ampiamente raccontato in: ‘1976, Storia di un trionfo’ ,ed. Ultra Sport, di Alessandro Nizegorodcew e Lucio Biancatelli, coautore di questo doc).

Le immagini di Oliviero - montate e musicate in autonomia - restano l’unico documento dell’impresa sportiva, di quell’indimenticabile trasferta. Nel reportage sono documentati l’arrivo dei giocatori in Cile, i tifosi con le espressioni tristi di chi non è libero e neppure felice, i giocatori in allenamento e a pranzo (con le mogli sedute in un tavolo in disparte), l’atmosfera colorita dello stadio, gli inni nazionali e finalmente il punto della vittoria sul quale è montata la voce tremolante di Mario Giobbe, che commentò lo storico momento in diretta per il GR2. Oliviero segue i nostri tennisti e il capitano Pietrangeli in ogni circostanza: a bordo piscina, sul pullman verso lo stadio, regalandoci tutta la bellezza di quei giorni che sarebbero stati unici e finora ancora irripetibili. Fu anche per il disinteresse della Rai che in pochi si accorsero delle magliette rosse indossate in campo nella vittoria decisiva. Panatta ritorna sull’argomento anche questa volta: «Se nessuno capì fu grave, se qualcuno capì e fece finta di niente, fu più grave ancora», mentre Bertolucci dà la sua versione dei fatti, al solito con spirito leggero, nonostante la gravità dei ricordi. Mentre sembra evidente a noi spettatori che nessun altro del gruppo fosse a conoscenza di questo aneddoto, oggi come allora (al punto che Procacci sente il bisogno di rivolgersi a Mario Giobbe, autore di una registrazione audio dove il tennista toscano, fa luce, parzialmente sulla vicenda). Il 19 dicembre, nella quarta partita dell’ultimo giorno della finale, Panatta vinse ancora contro Fillol, e Zugarelli perse contro Belus Prajoux. Furono però risultati senza importanza, perché l’Italia si aggiudicò la coppa con un risultato netto di 4-1. Al ritorno a Roma non ci furono festeggiamenti, e anzi, all’aeroporto di Fiumicino i tennisti dovettero evitare i contestatori che li attendevano per insultarli violentemente. Da allora l’Italia ha giocato altre quattro finali di Coppa Davis: l’anno successivo e poi nel 1979, nel 1980 e nel 1998, ma senza vittorie. Un epilogo che mette ordine tra molti ricordi e pochi fasti, pur rappresentando un unicum che stiamo ancora, inutilmente, cercando di replicare.

UNA SQUADRA (doc, 2021)

REGIA: Domenico Procacci. SCENEGGIATURA: Domenico Procacci, Lucio Biancatelli, Sandro Veronesi. FOTOGRAFIA: Gherardo Gossi. MONTAGGIO: Giogiò Franchini. MUSICA: Mauro Pagani. CAST: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli, Nicola Pietrangeli, Jaime Fillol, Patricio Cornejo, Felipe Bianchi. PRODUTTORI: Domenico Procacci, Laura Paolucci. PRODUZIONE: Fandango.