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L'ADDIO

Tutte le contraddizioni di Camila Giorgi

L'uscita dal programma antidoping, senza comunicarlo alla WTA, segna il ritiro di Camila Giorgi. Un addio nel suo stile: non ha mai fatto parte del gregge ed è la giocatrice che più di tutti ha diviso gli appassionati. Proclami, vittorie, delusioni, tragedie, bellezza abbagliante, aule dei tribunali: nella Giorgi Story c'è stato di tutto.

Riccardo Bisti
9 maggio 2024

Papà Sergio l'ha detto mille volte: “Camila è diversa”. Vero. In un ipotetico libro sul tennis femminile italiano, Camila Giorgi non farebbe parte della narrazione. Sarebbe un capitolo a parte, con particolarità tutte sue. Sarebbe la bonus track di un CD, il cromosoma impazzito che sfugge a ogni controllo. Caratteristiche che l'hanno resa popolarissima, nonché la giocatrice più divisiva che l'Italtennis ricordi. Chi la ama alla follia l'ha glorificata e difesa a oltranza, altri non hanno mai sopportato l'atteggiamento apparentemente altezzoso e la presenza costante – talvolta ingombrante – di papà Sergio. Tanti si sono domandati dove sarebbe arrivata con un percorso tradizionale, seguita da coach più esperti e con metodi ortodossi. I numeri raccontano che è stata al massimo numero 26 WTA, ha vinto quattro titoli (con la chicca del WTA 1000 di Montreal 2021) e aveva il vizio di battere le più forti. Perché, quando scendeva in campo, Camila non guardava in faccia nessuno. Recuperare il dato statistico esatto richiederebbe un lavoro troppo lungo, ma non crediamo ci siano tante giocatrici mai entrate tra le top-20... ad avere un bilancio così positivo contro le top-10.

17 vittorie e 31 sconfitte, percentuale di successo del 35%, migliore di tutte le nostre Fab Four: Flavia Pennetta (32,94%), Francesca Schiavone (22,90%) Sara Errani (19,12%) e Roberta Vinci (23,81%). Questo non significa che sia stata più forte di loro: la qualità di una giocatrice si misura con mille fattori, e Camila è stata deficitaria sotto tanti aspetti. Però il dato ci ricorda cosa poteva fare sul campo da tennis. Parliamo al passato perché Camila Giorgi è un'ex tennista. Si è ritirata a modo suo, senza comunicarlo a nessuno, se non all'International Tennis Integrity Agency. Loro ti inseriscono nella lista degli atleti ritirati, tu non giochi più e in cambio non sei più soggetta ai controlli antidoping. Quello della Giorgi è un ritiro più concreto rispetto a quello di chi non lo formalizza (Ernests Gulbis, teoricamente ancora in attività) o magari lo fa a due anni dall'ultima partita (Ivo Karlovic). Se Camila dovesse avere nuovi pruriti tennistici – non crediamo – dovrebbe comunicarlo all'ITIA con sei mesi d'anticipo, durante i quali sarebbe sottoposta a un congruo numero di test prima di riprendere. In tempi recenti lo hanno fatto Kevin Anderson e Caroline Wozniacki, oggi è il turno di Lucie Safarova. E allora crediamo che Camila abbia deciso, e se abbiamo capito qualcosa di lei non tornerà indietro.

Il possibile processo per la (presunta) falsa vaccinazione

Il ritiro di Camila Giorgi è arrivato in silenzio. Nemmeno la WTA ne sapeva nulla, e non è riuscita a contattarla. Secondo il Corriere della Sera, chi la rappresenta ha detto che non darà notizie di sé prima del Roland Garros. Qualcuno sussurra che sia andata via dall'Italia per non precisati problemi. Di sicuro è stata rinviata a giudizio e potrebbe essere processata per la faccenda legata ai finti vaccini in uno studio di Vicenza. Lei ha sempre respinto le accuse, sostenendo di essersi regolarmente vaccinata contro il Covid. Il sostituto procuratore non la pensa così, sarà il GIP a decidere se mandarla o meno a processo.

A 32 anni e spiccioli ha detto basta, chiudendo con una sconfitta contro Iga Swiatek prima di fuggire dai riflettori ma non da Instagram, laddove è popolarissima per ragioni extra-tennistiche. Buona parte dei suoi 728.000 followers sbirciano il suo account in cerca di foto sexy e non certo per avere informazioni sulla sua attività, peraltro incoraggiati dai contenuti. Per trovare post tennistici bisogna scorrere fino al gennaio 2023 (conferenza stampa dell'Australian Open), mentre per vederne uno che la ritrae sul campo si va addirittura all'1 novembre 2021. In mezzo tante foto più o meno sexy, più o meno professionali, più o meno ammiccanti. In fondo la moda è sempre stata una sua passione, sublimata dal lancio del brand Giomila. In questo è stata figlia d'arte, poiché mamma Claudia Fullone le ha disegnato gli abiti da gioco per quasi tutta la carriera. L'argomento era uno dei pochi che ne accendeva lo sguardo durante le interviste, in cui si distingueva per risposte monosillabiche e non particolarmente profonde. Non crediamo fosse per incapacità, quanto perché non ne avesse voglia. “Non seguo il tennis” è una delle sue frasi più famose. “Scendo in campo e faccio il mio gioco” era un'altra frase-rifugio, spesso utilizzata in risposta a chi la rimproverava di non avere il famoso “Piano B”, alternativa al bum-bum-bum che le permetteva di battere Sabalenka, Wozniacki, Azarenka e Sharapova, ma anche di perdere contro Zhuk, Swan, Chirico e Jakupovic. È sempre stata un'outsider, una fuori dagli schemi e per questo interessante.

E poi c'era la sua storia, sublimata da papà Sergio, a cui è impossibile non dedicare un corposo spazio quando si parla di lei. Leader di una famiglia numerosa e molto unita, ancora di più dopo la tragica scomparsa della sorella maggiore Antonela (morì nel 2010 in un incidente stradale a Parigi, ci sono anche i fratelli Leandro e Amadeus), non conosceva il tennis ma ha fatto di tutto per aiutare la figlia, spesso muovendosi nel grigio. “Non ho sfondato nel calcio perché non c'erano soldi, nemmeno io ne ho ma ti aiuterò in tutti i modi” raccontava di averle detto, nella prima intervista che si ricordi (aprile 2006) quando la Gazzetta dello Sport mandò un inviato ai sobborghi di Parigi, dove si allenava da un giovane Patrick Mouratoglou dopo aver girovagato un po' dappertutto. “È ambiziosa e disciplinata, molto forte di testa: io l'ho spinta per vedere dove arrivava la sua forza” diceva papà Sergio, che per anni l'ha tenuta lontana da contratti, sponsor e manager. Nel frattempo l'aveva portata negli Stati Uniti e lì aveva lasciato qualche debito di troppo. Quando la storia fu resa di dominio pubblico, prima da Sports Illustrated e poi da chi scrive, in modo ancora più dettagliato (con tanto di sentenza di tribunale) non la prese benissimo, ma era parte del suo carattere. Passionale, sanguigno, vulcanico, militare. Chi non ha vissuto l'insensata Guerra delle Falkland / Malvinas, in cui l'esercito argentino fu mandato al macero contro la Royal Navy, non potrà mai capire a fondo Sergio Giorgi. Più o meno nessuno, dunque. “Se ho sbagliato l'ho fatto in buona fede: non mi importa se parlano male di me, l'importante è che lei arrivi” diceva nel 2006. È stato coerente con se stesso e ha vinto la battaglia, perché Camila è arrivata. E non sapremo mai fino a dove si sarebbe spinta senza di lui.

Papà Sergio, ex soldato dell'esercito argentino, è stato la persona più importante nella carriera di Camila Giorgi

Secondo molti, con le sue doti tecniche e atletiche (da bambina era stata in nazionale di ginnastica) avrebbe dovuto essere top-5 fissa: plausibile. Ma la controprova non esiste, e ci viene in mente una frase di David Nalbandian a chi gli diceva che una condotta più professionale (meno pesca, meno rally) lo avrebbe reso ancora più forte. “Ho fatto quello che andava meglio per me, se mi fossi dedicato soltanto al tennis magari non sarei stato per anni tra i primi dieci”. Stessa storia per Camila: senza la spinta feroce di papà Sergio, magari non sarebbe nemmeno diventata professionista. Chi lo sa. Di certo aveva tutto quello che serve per diventare un personaggio: tennis esplosivo, oggettiva bellezza (requisito fondamentale nel tennis patinato di oggi), una storia particolare alle spalle e un carattere enigmatico. Timida ma decisa, seriosa ma anche sorridente, poco incline al dialogo con gli sconosciuti, figurarsi con i giornalisti. Inevitabili gli alti e bassi con il carrozzone della federazione italiana, che in lei aveva visto una potenziale erede delle nostre big. Per un po' aveva sfogliato la margherita tra Italia e Argentina, senza dimenticare un'antica offerta di Israele in virtù di lontane origini ebraiche, poi ha scelto il nostro Paese ma per un po' era rimasta lontana dell'establishment.

“La Fed Cup è una competizione tra federazioni” diceva papà Sergio. Poi però firmò un contratto con l'ex FIT, in cui si impegnava a rispondere a ogni convocazione. Finì in tribunale e a colpi di carte bollate dopo un rifiuto a giocare un match in Spagna. Se da un lato aveva effettivamente disatteso un contratto, la squalificarono (9 mesi e 30.000 euro di multa) al terzo grado di giudizio, inventandosi (il Collegio di Garanzia CONI) un ipotetico “rapporto di tesseramento” nonostante non fosse tesserata ai tempi del gran rifiuto, quindi tecnicamente non punibile. Periodo di gelo, riavvicinamento qualche anno dopo (a Tokyo 2021 non è andata così distante da una medaglia olimpica), ma l'amore con l'azzurro non è mai stato travolgente. Dopo la vittoria in Slovacchia dell'anno scorso non si era messa in posa per la foto di rito, dovettero inseguirla per strappare almeno uno scatto. Perché Camila è fatta così, per nulla incline al compromesso. Oggi che è una ex tennista è difficile trovare un'immagine che la definisca. Sono troppe, sia positive che negative. L'abbiamo detto: è la giocatrice più divisiva che si ricordi, ogni ricordo sarà condizionato dal sentimento nei suoi confronti. Da cronisti, ci limitiamo a dire che la sua vicenda nel tennis è stata molto, molto interessante.