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LA STORIA

Il tennista che viaggiava in autobus

In un paio di occasioni, la carriera di Bernabé Zapata Miralles è stata a rischio per mancanza di risorse. Ne è sempre venuto fuori a costo di rinunce e sacrifici, diventando un ottimo giocatore. A New York si farà accompagnare dai genitori, che per la prima volta usciranno dell'Europa. 

Riccardo Bisti
1 agosto 2023

Per non dimenticare il passato, Jason Kubler si è tatuato la povertà sul braccio. Se lo osservate con attenzione, noterete la scritta 0,14. È la cifra che gli sarebbe rimasta sul conto corrente a un certo punto della sua carriera. Non sappiamo se sia vero, o se hanno esagerato con la narrativa. Di certo è reale la vicenda di Bernabé Zapata Miralles, uno dei meno noti tra i top-100 ATP. Di sicuro è tra i meno pubblicizzati. Anni fa si utilizzava Daniel Gimeno Traver come emblema di giocatore poco spettacolare, magari bruttarello, capace di issarsi a buoni livelli. Vedendo il modo in cui Berni porta il dritto, verrebbe da dire che ne ha raccolto il testimone. In fondo vengono dalla stessa città, Valencia. Ma c'è una secchiata di verità che raffredda qualsiasi ironia e merita di essere raccontata. Tra qualche settimana, Zapata Miralles giocherà lo Us Open. Nel suo box ci saranno i genitori, papà Wilfredo e mamma Miriam. Per loro sarà la prima volta fuori dall'Europa, il premio – anzi, il lieto fine – per una storia che ha rischiato di non cominciare. Perché i Zapata rappresentano la classica famiglia “normale”, ove per normale si intende il frigo pieno e una vita tutto sommato serena, ma senza potersi permettere un sogno.

Entrambi insegnanti di scuola superiore, hanno messo al mondo quattro figli. Un contesto che rendeva impossibile la speranza di sostenere le spese di un aspirante tennista. Ma il caso ha voluto che Bernabé mostrasse un certo talento dopo che lo avevano portato presso lo Sporting Club de Tenis di Valencia, per seguire le orme del fratello maggiore David. “A 11 anni, il circolo ha iniziato a darmi una mano per giocare qualche torneo – racconta il numero 63 ATP, che qualche mese fa si è arrampicato in 37esima posizione – poi a 16 anni ho dovuto decidere se andare avanti, ma non avevo soldi. E allora lo Sporting mi ha aiutato, permettendomi di giocare qualche torneo ITF. Il circuito junior non è mai stato un'opzione perché costava troppo”. Secondo Zapata Miralles, provare a fare il tennista a quell'età significa spendere 5.000 euro al mese, cifra che la sua famiglia non si poteva permettere. E poi, suvvia, era chiaro che non fosse il nuovo Nadal e nemmeno il nuovo Ferrer o Verdasco. “È un miracolo che stia ancora giocando” disse in un'intervista del 2016, alludendo alle difficoltà economiche.

Bernabé Zapata Miralles ha conquistato le simpatie degli spagnoli vincendo tre partite al Masters 1000 di Madrid

Lo sapevi che...

Oltre alle difficoltà narrate in questo articolo, la carriera di Bernabé Zapata Miralles ha avuto diversi momenti complicati. Come quando fu squalificato durante un match al Challenger di Mouilleron-Le-Captif perché aveva danneggiato i suoi pantaloncini ed era rimasto senza, violando il dress code. Oppure al Roland Garros 2020, quando fu allontanato perché il suo coach Carlos Navarro risultò positivo al Covid. Tuttavia, quel test risultò un falso positivo e gli impedì di giocare per la prima a volta a Parigi. Si sarebbe rifatto negli anni successivi. 

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La carriera di Bernabé ha avuto due passaggi cruciali, momenti in cui poteva saltare tutto in aria. Il primo risale al 2015: gli erano rimasti meno di 1.000 euro sul conto, così decise di andare in pullman da Valencia a Bilbao per giocare un torneo ITF. “Lo feci per risparmiare i 100-150 euro di volo, da solo, senza coach. Ero numero 900 ATP”. Chissà cosa gli passava per la testa, lungo le otto ore di viaggio nell'entroterra spagnolo. Al torneo di Getxo, sobborgo di Bilbao, perse al primo turno contro il russo Alexandr Igoshin. “Ma la settimana dopo ho vinto il mio primo torneo ITF a Gandia e ho guadagnato un migliaio di euro”. Un'esperienza indimenticabile, a due passi da casa e ricucendo una finale in cui era in svantaggio 6-1 3-0 contro Albert Alcaraz Ivorra, nessuna parentela con quel Carlitos che gli è capitato di superare a Cordenons 2020... quando vinse il sui primo titolo Challenger. Ha fatto giusto in tempo a batterlo, perché i valori si sono rapidamente ribaltati. L'altro momentaccio risale al 2018, quando era intorno al numero 300 ATP ma aveva raccolto qualche sconfitta di troppo. “In quel momento avevo 1.500 euro nel conto. Mio padre non me l'aveva detto, ma lo sapevo. E so anche che i miei genitori sono stati a un passo dal chiedere un prestito in banca”. Niente strozzini come capitò a Srdjan Djokovic, ma una brutta situazione. Anche umiliante. Forse per orgoglio, o forse per istinto di sopravvivenza, Bernabé passò per la prima volta le qualificazioni di un torneo ATP (a Ginevra), intascando 7.000 euro che gli diedero una bella mano. Oggi le cose vanno meglio, per questo la presenza dei suoi genitori a New York sarà qualcosa di simbolico. “Il mio percorso mi ha permesso di restare umile perché so che nessuno mi ha regalato nulla – racconta – il tennis costa molto e per sopravvivere hai bisogno di una forte personalità. Ma non è l'ideale, perché viaggiando in solitudine si matura più tardi”.

Grazie alle sovvenzioni della FITP, i giovani italiani possono svolgere una programmazione relativamente tranquilla, un po' come accade ai ragazzi dei Paesi più ricchi. In Spagna non è lo stesso: per ottenere una borsa di studio federale, Zapata dovette arrivare in finale ai Campionati Europei Under 18. Nella strada verso la finale battè due futuri top-10 come Hubert Hurkacz e Stefanos Tsitsipas. “Arrivai esausto in finale, ma almeno ottenni una sponsorizzazione”. Da più di trent'anni si parla – talvolta esagerando con la retorica – della fame e dell'umiltà dei tennisti spagnoli, ragione principale per cui la Spagna produce tennisti a gettito continuo. Perché i Nadal e gli Alcaraz sono doni del cielo, ma tutti gli altri si possono costruire. Bernabé Zapata Miralles, il top-100 oscuro, è manifesto ideale di quel luogo in cui si abbracciano lavoro e umiltà. Lo si vede dalle piccole cose: il suo tennista preferito è Pablo Andujar (che è stato numero 32 ATP: chissà se riuscirà a superarlo), il suo supereroe è Batman, essere umano privo di super poteri, e nelle sue parole non c'è traccia di proclami o arroganza. Quante volte abbiamo sentito sbandierare obiettivi e traguardi ai limiti del folle? Ecco, scordatevi frasi del genere dal valenciano. “Non sento il bisogno di sognare, perché il tennis mi ha dato più di quello che avrei mai sperato. Tutto quello che verrà da adesso in poi sarà un regalo”. Mancanza di ambizione? forse, ma è il modo migliore per non perdere la testa e rimettere piede nel purgatorio senza contraccolpi. Qualche risultato così così lo ha fatto uscire dai top-50, così ha scelto di tornare a giocare un Challenger per la prima volta nel 2023. A Iasi, che non è il luogo più ospitale del mondo, è subito arrivato in finale. Poi ad Amburgo è stato a un passo dal battere Andrey Rublev: ce l'avesse fatta, sarebbe stata la prima vittoria contro un top-10.

Zapata Miralles ha vinto quattro Challenger: il primo risale al 2020, a Cordenons. In finale battè un 17enne Carlos Alcaraz

L'annuncio della separazione con coach Carlos Navarro dopo dodici anni insieme

Per adesso le sue vittorie più belle rimangono quelle del Roland Garros 2022, quando battè Taylor Fritz e John Isner, diventando il primo spagnolo di sempre a raggiungere gli ottavi a Parigi partendo dalle qualificazioni. “Quando arrivai non avrei mai pensato di andare così lontano: feci un allenamento con Juan Pablo Varillas e mi rifilò 6-2...”. Poi è successo che gli astri si sono allineati e fece un figurone contro Zverev, peraltro dopo aver visto dal vivo la finale di Champions League tra Real Madrid e Liverpool. “Qualche ora dopo la vittoria contro Isner ho ricevuto una telefonata alle 00.30. Era Emilio Butragueno, mi diceva che c'era un posto in tribuna”. Al rientro a Valencia (per un forte senso di riconoscenza, si allena ancora presso lo Sporting) rimase impressionato dagli impegni extra per quell'exploit, tra sponsor e interviste. “Ma so già che i prossimi due mesi saranno pessimi sul piano dei risultati, mi devo preparare”. Era il modo per tenere i piedi per terra. Ha funzionato: una vittoria, una finale e una semifinale nel circuito Challenger, accompagnate dai quarti a Umago e la qualificazione a Wimbledon (la seconda di fila) lo hanno stabilizzato tra i top-100, poi quest'anno ha fatto un ulteriore salto di qualità. Semifinali a Buenos Aires e a Rio de Janeiro, poi gli ottavi a Madrid. “Ma dopo la sconfitta al primo turno del Roland Garros sono stato malissimo, avevo dolori allo stomaco. Ma col tempo ho capito che bisogna relativizzare le cose”. E così non ha perso la serenità, consapevole che portare per la prima volta i genitori fuori dall'Europa è il regalo più bello che potesse fare a loro... ma anche a se stesso.

“Sfizi? L'anno scorso ho esaudito il sogno di provare uno Chateau Margaux del 2003: spettacolare!” dice Bernabè, che è un fanatico di vini rossi e ha scelto di non farsi seguire né da uno psicologo, né da un nutrizionista. Sono lussi per aspiranti fenomeni, mentre lui è uno “normale”, di quelli che trovi sull'elenco telefonico. “Lo psicologo aiuta molto se sei convinto di farti aiutare, mentre a tavola mi so controllare... il vino è la mia unica trasgressione”. D'altra parte, in piena pandemia, ha avuto la forza di perdere 10 chili di peso. E qualche mese fa ha preso la decisione, sofferta, di dire addio allo storico coach Carlos Navarro, con il quale ha lavorato per dodici anni. “Sapevamo che sarebbe successo: dopo così tanto tempo è difficile trasmettere cose nuove, ed altrettando difficile ascoltare. È stato la persona più importante della mia carriera, se sono qui è merito suo e manteniamo una relazione spettacolare”. Per adesso ha scelto Samuel Ribeiro, mentre prosegue con il preparatore atletico Nacho Marquez. Non sappiamo se Bernabé Zapata Miralles vincerà mai un titolo ATP, o saprà entrare tra i top-30, ma la sua storia insegna che si può andare lontano anche se senza aiuti, anche senza chissà quale talento, anche senza provenire da una famiglia ricca. “La cosa più brutta del tennis è che non esiste il concetto di 1+1, uguale 2. Per quanto ti sforzi, non hai la certezza di diventare un giocatore. L'incertezza ti perseguita giorno dopo giorno, è una sofferenza quotidiana”. Lui ce l'ha fatta, vincendo il match più importante. Una serenità che potrebbe essere un'arma in più sul campo, contro avversari perennemente ossessionati da punti, vittorie e classifiche. Intanto, a Roma, Zapata Miralles ha battuto Kubler in due set. Chissà se hanno parlato di queste cose.