The Club: Bola Padel Roma
L'ADDIO

Il più forte di sempre a non aver mai vinto un Challenger

A quasi 36 anni, Andrea Arnaboldi dice basta al tennis giocato. Un 2023 al di sotto delle aspettative lo ha convinto a chiudere un'avventura di oltre 1000 partite, qualche rimpianto e alcune perle. Su tutte, quel record al Roland Garros che nessuno gli porterà via. 

Riccardo Bisti
16 dicembre 2023

Gliel'hanno detto in tanti, e forse non è il modo con cui Andrea Arnaboldi vorrebbe titolato un articolo sul suo addio al tennis. Ma i giornalisti sono un po' così, vivono di dogmi e frasi fatte. E quando si parla del canturino è difficile sfuggire a una definiziosa invitante, persino golosa, per chi scrive di tennis: “Il tennista più forte di sempre a non aver mai vinto un Challenger”. Secondo il sito-cult Tennis Abstract, Andrea ha giocato 1.079 partite in oltre vent'anni di professionismo, ma in realtà sono di più perchè non tiene conto di diversi match di qualificazione. In tutti questi anni, il suo tennis classico ed elegante gli ha permesso di vincere sette titoli ITF, issarsi al numero 153 ATP e togliersi splendide soddisfazioni, su tutte la fiaba al Roland Garros 2015. Ma ci torneremo. Eppure, nonostante lo si possa considerare un giocatore di categoria (ha giocato 582 partite nei tabelloni principali dei Challenger), non è mai riuscito a sollevare un trofeo da vincitore.

C'è andato vicino per due volte, la prima a Portorose 2018, quando perse contro il maghetto Constant Lestienne, la seconda un paio d'anni fa a Forlì. “E lì il rimpianto è grande, perché sembrava che Kotov fosse infortunato...” ci ha confidato qualche mese fa. Alle due finali si accompagnano diciassette piazzamenti in semifinale, a certificare una notevole continuità a certi livelli. Gli è sempre mancato quel mezzo punto in più per fare un salto di qualità che avrebbe meritato come talento, ma soprattutto come approccio alla professione. Rigoroso, attento, metodico. E non si può dire che non ci abbia provato: non si è mai fossilizzato su una soluzione, cambiando diversi coach (con una robusta esperienza in Spagna a inizio carriera), segno che ha sempre cercato di migliorarsi. La combinazione migliore c'è stata con Fabrizio Albani e il mental coach Roberto Cadonati.

  • 153

    Il best ranking di Andrea Arnaboldi, ottenuto il 12 ottobre 2015

Il best ranking è arrivato in quegli anni, con la perla del secondo turno al Roland Garros, impreziosito dall'epica vittoria contro Pierre-Hugues Herbert al turno di qualificazione. 27-25 al terzo, un record che durerà per sempre. Non facciamo retorica su quella storia, perché ve l'abbiamo già raccontata. Qui basti ricordare che passò anche il primo turno, rimontando due set di svantaggio allo scorbutico James Duckworth e togliendosi lo sfizio di affrontare Marin Cilic. Per qualche giorno, il protagonista del torneo fu Andrea da Cantù, sguardo fiero e carattere riservato. A inizio carriera sembrava addirittura timido, poi (grazie a un attento lavoro su se stesso) è diventato via via più espansivo, facendosi apprezzare ancora di più nello spogliatoio. E quello dei Challenger è ancora più duro di quello del circuito maggiore, perché si lotta per un pezzo di pane e vige, ancora di più, la legge della giungla. Ma ad Arnaboldi volevano tutti bene, perché ha sempre fatto le cose con onestà, senza sconti né favori.

Quando si è affacciato al panorama mainstream, molti sono rimasti colpiti dalla qualità del suo tennis, dalla capacità di accarezzare la palla, l'eleganza. “Ah, fosse nato 30-40 anni prima...” è una delle frasi che si è sentito dire più spesso. Oppure che era troppo magro, dunque la sua palla era un po' troppo leggera. C'è un fondo di verità, anche se coach Albani non l'ha mai pensata così. Per lui c'erano tutte le carte in regola per salire più in alto, magari abbattare il muro dei top-100. Per un motivo o per l'altro, Andrea non ce l'ha fatta. Poi sono passati gli anni e ci ha dato l'impressione di essersi rasserenato. Non rassegnato, ma con la maturità ha imparato ad apprezzare la vita nel circuito, la routine, i viaggi, gli allenamenti e tutte quelle cose noiosissime che rappresentano un buon 90% della vita di un tennista. “Ma mi sono reso conto che facciamo qualcosa di speciale” disse qualche anno fa, denotando quel mix tra maturità e lucdità che gli tornerà utile nella seconda carriera.

Andrea Arnaboldi si è qualificato per tre Slam: due volte a Parigi (2014 e 2015) e una a Wimbledon (2019)

Il bacio alla terra del Roland Garros dopo la rocambolesca vittoria contro James Duckworth

Già, perché il post di commiato su Instagram lascia intendere che resterà nell'ambiente. Poche righe, fedeli al suo carattere, in cui ha avuto l'accortezza di non utilizzare la parola “ritiro”, perché evidentemente sente di avere ancora qualcosa da dare. “È stata una scuola di vita, infinitamente grato a questo sport. Si chiude un capitolo importante e se ne apre uno nuovo ricco di progetti e con la voglia di trasmettere tutta l’esperienza acquisita.Ringrazio tutte le persone che hanno avuto modo di condividere con me questo bellissimo percorso! Carico e determinato verso nuovi obiettivi”. Nessuno spazio per i rimpianti, ma tanta positività per il futuro.

Il primo pensiero – scontato – è che possa essere ancora più coinvolto nella carriera del cugino Federico. Lo ha visto nascere, crescere, si sono allenati insieme e sono arrivati a sfidarsi nel circuito, lo scorso febbraio nelle qualificazioni del Challenger di Rovereto. Poteva essere un simbolico passaggio di consegne, invece vinse Andrea. Sperava di poter dare un'ultima zampata, ma il 2023 non gli ha dato troppe soddisfazioni. Ha vinto l'ultima partita nelle qualificazioni di Cordenons, ha giocato l'ultima nel torneo di casa, Como, laddove ha partecipato a tutte le diciotto edizioni, raggiungendo per tre volte i quarti di finale. Ma nella testa di Andrea Arnaboldi non c'è spazio per i rimpianti, ma soltanto il desiderio di lasciare il segno in futuro. Conoscendolo, ce la metterà tutta.