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Bagnis, si può vincere anche fuori dal campo

Forse Facundo Bagnis non vincerà mai un titolo ATP, ma può essere orgoglioso: si è liberato di un contratto decennale che lo ha privato di quasi ogni guadagno. Ha inaugurato una scuola tennis per disabili e in futuro vuole fare il manager: per questo, il suo esaurimento fisico a Cordoba non deve fargli (troppo) male.

Riccardo Bisti
12 febbraio 2024

Quando Luciano Darderi si è portato sul 6-1 5-4 e servizio, al termine di uno scambio di 26 colpi chiuso da un rovescio incrociato, Facundo Bagnis si è piegato in due dalla fatica. Resa simbolica. In quel game di 18 punti aveva dato tutto, spremuto ogni energia fisica e mentale che gli era rimasta. Ma a un certo punto le gambe hanno ceduto. Le fatiche di diciassette anni di carriera si sono scaricate su un fisico possente ma logoro. E così è sfumato il sogno di vincere il suo primo torneo ATP. Quella contro Darderi è stata la terza finale tra qualificati dopo Troicki-Kukushkin a Sydney 2015 e Klizan-Istomin a Kitzbuhel 2018 (c'era stata Clavet-Masso a Hilversum, nel 1990, ma allora lo spagnolo era entrato in tabellone come lucky loser), dunque era un'occasione d'oro – probabilmente l'ultima – per intascare un titolo del circuito maggiore. Per questo Bagnis era distrutto dopo il 6-1 6-4 incassato dall'italoargentino. Un senso di disperazione percepito da Darderi, che con la coda dell'occhio lo ha guardato mentre si recava al cambio campo sul 5-4. “Non è che mi sviene sul campo?” deve aver pensato Luli, che con questo successo si è portato al numero 76 ATP.

Nei turni precedenti si era gettato per terra dopo ogni vittoria, mentre stavolta non ha quasi esultato. Ha rispettato la disperazione agonistica di Bagnis, che si dovrà accontentare di un primato buono solo per le statistiche: a 33 anni e 349 giorni, è il più anziano argentino di sempre ad aver giocato una finale ATP: battuto un record che apparteneva a Guillermo Vilas (33 anni e 8 mesi). “In cinque secondi di partita sviluppo un pensiero di due giorni. Cosa succede se vinco, se perdo, cosa diranno, dove andrò...”. Bagnis è uno che pensa molto, troppo. Anni fa si era accomodato al numero 55 ATP, ma quando la classifica ha ripreso a scendere è andato in crisi. “Ho iniziato a scavare per vedere cosa avevo fatto per arrivare fin lassù, ma è stato un errore – racconta – sono rimasto legato per anni a quello che avevo fatto, invece devi pensare sempre al dopo. Le cose sono cambiate quando ho iniziato a ragionare sul presente”. In effetti ha vissuto una seconda giovinezza nel 2021, con la prima finale ATP (Santiago) e un sorprendente terzo turno allo Us Open. Ma ci sono accadimenti che nemmeno la mente più allenata sa gestire, tipo quelli vissuti a Cordoba.

Il sostegno a Djokovic

Facundo Bagnis è tra i sostenitori della PTPA di Novak Djokovic. "Nel 2020 ne ho vissuto la nascita, e l'ATP fu molto aggressiva nel chiederci di non aderire. Il suo presidente non ha relazioni con i giocatori fuori dai top-20, potete chiedere a chiunque su come si esprime. Io lo incrocio ma non mi saluta, non sa nemmeno chi sono. Non ho la pretesa di prenderci un caffè tutti i giorni, ma almeno un saluto. Djokovic è molto coinvolto nel suo progetto: una volta, a Roma, ha partecipato a un meeting di due ore e mezza: non era tenuto a farlo e il giorno dopo doveva giocare. La gente non sa queste cose, ma c'è da togliersi il cappello. Magari può sbagliare, ma se accade è perché si impegna nel fare qualcosa"

Vincere un torneo ATP a 34 anni, partendo dalle qualificazioni, avrebbe avuto ancora più valore. A maggior ragione dopo che i suoi coetanei Federico Delbonis e Guido Pella si sono ritirati. Loro hanno avuto la gloria eterna grazie al trionfo in Davis, lui ha vestito l'albiceleste solo una volta, in occasione di una brutta sconfitta in Finlandia. Però avrebbe potuto vincere un torneo quando loro avevano già alzato bandiera bianca. Deve averci pensato, nelle ore precedenti alla finale con Darderi. E chissà cos'altro gli è passato in mente. Di certo non era lui, quando è sceso in campo. Paralizzato dalla paura, ha perso 35 dei primi 47 punti e si è trovato in svantaggio 6-1 2-0 in poco più di mezz'ora. Solo in quel momento ha sciolto il braccio, provando a sfruttare l'inevitabile tensione di Darderi. Ha ripreso il break di svantaggio, ha avuto qualche minuscola chance, poi le gambe hanno iniziato a cedere. Non è facile giocare una partita del genere a quasi 34 anni. “A inizio carriera sei pieno di energie, giochi a tennis e basta – racconta Bagnis – adesso devo fare un mucchio di cose per andare avanti, tra cui curare il mio corpo per mantenere energia sufficiente”. Ma se il tuo avversario ha dodici anni in meno, non c'è energia che tenga. Nel nono game del secondo set, Bagnis è stato il triste – drammatico, se vogliamo – esempio del totale scollegamento tra testa e corpo. La testa forniva degli input, ma il corpo non era in grado di sostenerli. Lui si è ribellato, ha provato a domarlo in ogni modo, fino a quello scambio in cui è definitivamente rimasto senza benzina.

Faceva quasi tenerezza, durante la premiazione. Mentre Darderi sollevava il trofeo e pronunciava le solite banalità da premiazione, teneva il capo chino e restava intrufolato nei sui pensieri. Poco prima, quando era stato lui a parlare, aveva fatto di tutto (riuscendoci) per non mettersi a piangere, e aveva provato a razionalizzare, dicendo che il giorno dopo avrebbe realizzato la bontà del suo percorso. “Ma adesso sono molto, molto deluso”. Però può essere fiero del suo percorso, e non solo per le cose belle che ha realizzato in carriera. Per esempio, la doppia medaglia d'oro (singolare e doppio) ai Giochi Panamericani del 2015. Oppure la partita che lo segnerà a vita, il 18-16 al quinto contro Julien Benneteau al Roland Garros 2014. Era il suo primo match al meglio dei cinque set. Un mese fa ha vinto un piccolo Challenger a Buenos Aires, il 17esimo della sua carriera: ha eguagliato Maximo Gonzalez, diventando il secondo argentino più titolato nei tornei di categoria, a un paio di lunghezze da Carlos Berlocq. Chissà se ha fissato l'obiettivo di raggiungerlo, o magari superarlo. Ma Facu deve essere orgoglioso anche di cose extra-campo. Come la scuola tennis per disabili, inaugurata qualche anno fa al Club Atletico Defensores di Armstrong, insieme a Eduardo Schwank. “È pensata per i ragazzi con disabilità cognitiva, incapaci di giocare a tennis con le nostre stesse regole. Si gioca con palline senza pressione, è molto ricreativo” dice Bagnis, che dedica qualche ora ai ragazzini ogni volta che torna nella sua cittadina natale.

Numero 55 ATP nel 2016, grazie alla finale a Cordoba Facundo Bagnis è risalto in 138esima posizione

A quasi 34 anni, Facundo Bagnis è stato il più anziano argentino a giocare una finale ATP

Ma, soprattutto, deve essere fiero di aver retto nonostante un contratto opprimente che lo ha accompagnato per quasi tutta la carriera, impedendogli di mettere denaro da parte. Quando gli hanno chiesto se gli è mai capitato di arrivare in rosso al termine di una stagione, ha rivelato quel che pochi sanno, almeno al di fuori del circuito. “Certo, anche quando avevo uno sponsor”. Quando aveva 18 anni giocava i tornei Futures, era in perdita costante e suo padre stava spendendo una fortuna per permettergli di giocare. Fu avvicinato da un gruppo di investitori, che gli proposero di pagargli le spese. “Ho firmato perché nel contratto non c'era scritto che avrei dovuto restituire il denaro. Il problema è che accordi di questo tipo non durano 2-3 anni. Sono accordi a lungo termine, possono durare otto, dieci, dodici anni. Ci sono giocatori che ancora oggi stanno saldando i debiti. Il mio è scaduto quando ho compiuto 28 anni. Loro hanno coperto le spese, ma quando sono entrato tra i top-100 e i prize money si sono fatto interessanti, ho iniziato a spendere moltissimo. Il contratto aveva molti zone grigie. Era tutto surreale: pur permettendomi di giocare, quell'accordo mi toglieva la tranquillità di sapere quanto avrei guadagnato” racconta Bagnis.

“Non sapevo se il montepremi sarebbe finito nelle mie tasche. In un certo senso, la mia carriera è iniziata a 28 anni. Ma mi è servito, perché da allora sapevo cosa potevo permettermi e cosa no”. Bagnis ha tenuto duro quando doveva versare l'80% dei guadagni in mani estranee, ma questo – forse – gli ha evitato di essere avvicinato dai corruttori, poiché nel circuito si sapeva che aveva uno sponsor. “Infatti mi sono domandato più volte come mai nessuno mi abbia mai chiesto di truccare una partita. I criminali sanno che i sudamericani sono più esposti”. Forse Facundo Bagnis non vincerà mai un torneo ATP, ma nel momento in cui appenderà la racchetta al chiodo potrà guardarsi dietro con orgoglio. Pur navigando in mezzo alle difficoltà, è sempre rimasto a galla. Durante lo stop per la pandemia ha seguito un corso di management sportivo presso l'Università di Rosario. “Mi piacerebbe fare qualcosa del genere in futuro, mentre mi è un po' passato il desiderio di fare l'allenatore”. Sarebbe l'epilogo perfetto: nessuno come Facundo Bagnis saprebbe indirizzare un giovane tennista, evitandogli di firmare contratti che sembrano atti di strozzinaggio.