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IL PERSONAGGIO

“Voglio diventare il più forte di sempre. Vi dà forse fastidio?”

La sconfitta a Parigi non ha cambiato le ambizioni di Novak Djokovic. Vuole diventare il migliore di tutti i tempi e non ha paura a dirlo, così come porta avanti le sue battaglie sindacali “perché sono in linea con i miei valori. È quasi un obbligo per chi si trova nella mia condizione”. Il tempo rivaluterà le sue azioni, sia dentro che fuori dal campo.

Riccardo Bisti
23 ottobre 2020

Solo chi non conosce Novak Djokovic poteva pensare che la batosta di Parigi potesse influire sulla sua autostima e, dunque, sulle sue ambizioni. La netta sconfitta contro Rafael Nadal è benzina psicologica, combustibile che il serbo vuole scaricare sul campo da tennis, a partire dagli ultimi tornei del 2020. Nole ripartirà da Vienna, laddove vuole raccogliere 500 punti in chiave classifica. Poi salterà Parigi-Bercy e chiuderà la stagione con le ATP Finals. “I miei obiettivi immediati sono chiari: voglio chiudere la stagione al numero 1 ATP e costruirmi un buon margine per i primi tre mesi del 2021. In questo modo potrei raggiungere uno dei miei più grandi obiettivi”. L'allusione è al numero di settimane al numero 1 del mondo: per ora Roger Federer è al comando con 310, ma il sorpasso potrebbe avvenire già a marzo. “Dovessi farcela l'8 marzo, giorno della Festa della Donna, dedicherò il traguardo a mia madre e a mia moglie”. Sono le parole di un tennista traumatizzato? Di uno che deve rimettersi in sesto?

Ascoltando le parole di Djokovic, torna in mente una storica frase di Franco Scoglio. Una volta, il professore disse: “Che libidine quando perdo. La sconfitta mi esalta e mi fa assaporare stimoli insostituibili”. Sembra proprio che le recenti batoste Slam abbiano alimentato il fuoco di Djokovic e i suoi desideri di gloria. “La pressione fa parte della nostra vita – ha detto prima di partire per l'Austria – dobbiamo accettarla e capire se questo carburante sarà a nostro favore o meno. A me non dà più fastidio. Forse a qualcuno dà fastidio che io abbia grandi ambizioni e ne parli apertamente, ma sono stato educato a essere onesto. Magari qualcuno finge in questo senso, ma io lo rispetto. Il mio obiettivo è diventare il migliore di sempre e ci sto lavorando. Potrei smettere domani, ma mi piace la competizione e avere una racchetta tra le mani. Finché sarà così, andrò avanti. Quando sono nel circuito ho grandi ambizioni. Non è pressione, ma motivazione”.

"Forse a qualcuno dà fastidio che io abbia grandi ambizioni e ne parli apertamente, ma sono stato educato a essere onesto. Magari qualcuno finge in questo senso, ma io lo rispetto. Il mio obiettivo è diventare il migliore di sempre e ci sto lavorando" Novak Djokovic
Quando aveva 7 anni, Novak Djokovic aveva già le idee chiare su sogni e obiettivi...

A parte le settimane in vetta, Djokovic brama il record di Slam. Non vincerne neanche uno tra New York e Parigi ha complicato le cose. Nadal ha raggiunto Federer a quota 20, mentre lui è fermo a 17. “In effetti c'è il rimpianto di non aver vinto gli ultimi due Slam. A Parigi, Nadal è stato migliore di me, mentre a New York c'è stata una situazione sfortunata”. Poco importa, gli obiettivi non cambiano di una virgola. Con una differenza: gli stimoli sono ancora più grandi. In realtà non ha ancora pianificato al 100% l'avvio della prossima stagione. “Non sono ancora sicuro di quando andrò in Australia, tra impegni familiari e limitazioni. Spero che non ci sarà troppa quarantena. In quel caso, bisognerà partire in anticipo. L'Australian Open è in calendario, mentre per l'ATP Cup ci sono ancora valutazioni in corso”. Nel 2020, Djokovic è stato il tennista più discusso anche fuori dal campo. Inutile ripetere le situazioni che lo hanno visto protagonista, dai pasticci legati al COVID-19 alla squalifica allo Us Open, passando per la creazione della PTPA. Al serbo, tuttavia, bisogna riconoscere coraggio e personalità.

A differenza di altri big, prende posizione su tutto. E si spende in prima persona per quello in cui crede. Chi si comporta così, inevitabilmente, presta il fianco a critiche. Le ultime hanno riguardato il suo desiderio di abolire i giudici di linea a favore della tecnologia. “Molti hanno collegato questa cosa ai fatti di New York, ma non e così. Abbiamo visto che la tecnologia ha permesso di ridurre l'errore umano. Non sono un fanatico della tecnologia, anzi, la società tecnocratica è andata un po' oltre, ma se si può essere più precisi... perché no? I giudici di linea e i volontari possono comunque trovare altri ruoli nel contesto di un torneo”. Detto che proverà a dare una mano al tennis serbo (“L'accademia di Tipsarevic funziona benissimo, l'Adria Tour è finito male ma abbiamo dimostrato di essere in grado di organizzare belle cose, però bisogna lavorare su Futures, Challenger e tornei giovanili. Un tempo la Serbia ne ospitava diversi, adesso non più”), sta dedicando parecchie energie alla realizzazione della PTPA, il sindacato autonomo dei tennisti, separato dall'ATP.

Insieme a Vasek Pospisil, Djokovic è fondatore della Professional Tennis Players Association
Quando Djokovic entra in modalità "bestia" non ce n'è per nessuno

Onestamente, chi glielo faceva fare? Quale motivo aveva di sfidare un sistema che lo ha reso il tennista più ricco di tutti i tempi, con 145 milioni di dollari in soli premi ufficiali? Devono esserci motivazioni profonde nel fare una cosa del genere e mettersi contro il palazzo. “Io e Vasek Pospisil stiamo lavorando alla struttura – racconta – abbiamo incontrato delle resistenze, hanno provato a scoraggiarci ma adesso che hanno capito le nostre intenzioni ci guardano con occhi diversi. L'idea di un sindacato del genere esiste da 20 anni, Ivanisevic voleva fare una cosa del genere, ci sono stati dei tentativi ma non erano mai andati a buon fine. Il tennis è uno sport importante, ma è fuori dalla top-10 quando deve sfruttare il suo potenziale. Bisogna cambiare: se c'è un monopolio, chi occupa il potere da decenni non ha alcun interesse al cambiamento. Non vogliamo opporci a nessuno, ma soltanto rappresentare i diritti dei tennisti. C'è ancora molta strada da fare”. 

Djokovic è consapevole che il tennis è visto come una sorta di isola felice, in cui tutti guadagnano bene. In realtà, soltanto un centinaio di giocatori riescono a vivere senza andare in rosso. E la voce dei tennisti di seconda fascia è spesso rimasta inascoltata. “Prima della nascita della PTPA ho parlato sia con Federer che con Nadal, ma hanno scelto di non aderire – rivela – non li critico. Viviamo in democrazia e ognuno può esprimere la sua opinione. Sarei più felice se ci fossero, ma andiamo avanti lo stesso”. Il serbo ha poi ribadito le questioni filosofiche che lo hanno spinto a imbarcarsi in questa avventura. “Intanto non mi distrae più di tanto dalla carriera, ma per me va benissimo. È una vocazione, quasi un obbligo per chi si trova nella mia situazione. Non sono solo, c'è Vasek, ci sono altri giocatori ed è soddisfacente. La PTPA non mi porta alcun vantaggio in senso materiale, ma è qualcosa in linea con i miei valori”. Non sappiamo se Djokovic diventerà il più forte di tutti i tempi, o se sarà ricordato come tale. In fondo non importa, perché ognuno resterà con la sua opinione. Ma è certo che il serbo è riuscito a inserirsi in un dibattito che sembrava non appartenergli. E ha fatto di più, esponendosi in battaglie che avrebbe potuto ignorare. Il tempo sarà galantuomo.