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LA STORIA

Suvvia, la Via Crucis è un'altra cosa...

Le difficoltà di Quentin Gueydan (n.1989 ATP) vengono definite “via crucis” dalla stampa francese. Se è vero che il 26enne francese ha perso diversi anni a causa dei problemi fisici, ha potuto studiare, ha un paio di sponsor, il sostegno di una piccola associazione e una campagna di crowdfunding andata a buon fine. Le storie di "resilienza", francamente, sono altre.

Riccardo Bisti
7 dicembre 2020

Non tutti sanno che il giornale francofono più letto al mondo è Ouest France. Con quasi 800.000 copie di tiratura, e oltre due milioni e mezzo di lettori, supera testate prestigiose come Le Figaro, Le Monde e L'Equipe. Mercoledì 2 dicembre 2020, si sono interessati al tennis. Hanno raccontato la storia di un ragazzo di 26 anni, Quentin Gueydan. Per trovare il suo nome nella classifica mondiale bisogna scorrere fino al numero 1989, frutto di un unico punto ATP. Lo ha conquistato nell'agosto 2019 al torneo ITF di Chiswick, sobborgo di Londra. Per il resto ha raccolto soprattutto sconfitte. La sua miglior classifica è la 1441esima posizione, risalente al giugno 2018. Gioca anche in doppio, ma non raccoglie molto di più. L'articolo si intitola “La Via Crucis di Quentin Gueydan”. Nel sottotitolo, viene definito “modello di resilienza”. In assenza di grandi risultati, prosegue nel sogno di diventare un buon giocatore, un professionista a tutti gli effetti. A inizio stagione, aveva stabilito che il 2020 sarebbe stato decisivo per capire se andare avanti o meno.

Dopo il lockdown (quando il circuito è stato sospeso, si trovava in Egitto e ha dovuto organizzare un precipitoso rientro in Francia) non ha più giocato tornei ufficiali, eppure ha scelto di darsi ancora un po' di tempo. La prossima scadenza è fissata tra qualche mese. “Non ho avuto l'impressione di essere arrivato alla fine dell'avventura”. Gueydan fa benissimo a inseguire il suo sogno, ma certi messaggi dovrebbero passare con maggiore prudenza. Non si può parlare di resilienza o di via crucis per un giocatore che proviene dalla Bretagna e non ha particolari problemi economici. Non naviga nell'oro, ci mancherebbe, visto che abita a Rennes in un appartamento in condivisione con un maestro di tennis. Però è il primo ad ammettere che il circuito non gli dà da mangiare. In un'intervista dello scorso aprile, ammetteva di non aver avuto particolari problemi economici a causa della pandemia. Il circolo per il quale è tesserato (il TC Saint Gregoire di Rennes) ha onorato tutti gli impegni per il 2020-2021 nonostante la cancellazione delle gare a squadre. “Il circuito non mi dà da vivere – diceva – anzi, sto risparmiando denaro perché non viaggio. Non gioco a tennis per soldi, ma per guadagnare punti ATP. La pandemia ha avuto un impatto più sportivo che finanziario”.

Quentin Gueydan ha perso diversi anni a causa degli infortuni
ASICS ROMA
In due anni completi di attività, Gueydan non si è mai avvicinato ai grandi tornei. La frase "Non ho l'impressione di essere arrivato alla fine dell'avventura” è tanto legittima quanto pericolosa.
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    La miglior classifica ATP raggiunta da Quentin Gueydan in singolare. Risale al 25 giugno 2018. In doppio non è mai andato oltre la 1255esima posizione.

Gueydan non è un martire. Tuttavia, è attanagliato da un umanissimo dubbio: fino a dove può arrivare? Fino a dove può spingersi? La domanda sarebbe legittima, visto che ha trascorso cinque anni lontano dal tour a causa degli infortuni. Periodo cruciale per un giovane tennista, tra i 17 e i 22 anni. Prima ha avuto due infortuni al ginocchio, che gli hanno sottratto due anni. Poi una mononucleosi durata 6-7 mesi. Infine un guaio al polso, sfociato in un'operazione. Classe 1994, ha ripreso a giocare a tempo pieno a fine 2017. I risultati lo bocciano. Non si è avvicinato ai top-1000 ATP, né in singolare, né in doppio. Eppure in Francia ci sono tanti tornei e la possibilità di giocare, crescere, farsi notare. Insomma, se sei francese e vali... difficilmente non emergi. Nel gennaio 2019, in occasione del torneo casalingo di Rennes (Gueydan è un accanito sostenitore della locale squadra di calcio, che quest'anno ha messo piede in Champions League senza troppa fortuna), disse che - al netto delle spese - riusciva a mettere da parte 500 euro al mese. “Ma soltanto una parte arrivano dai guadagni nel circuito”. Se frequenti solo il circuito ITF, non è un traguardo disprezzabile.

Il bretone, infatti, aveva un paio di sponsor: il negozio specializzato Tennis Pro a Chantepie (paesino di 9.000 abitanti a sud-est di Rennes) e Hamster, piccolo e storico costruttore di abitazioni individuali. Come se non bastasse, l'associazione no-profit Breizh Tennis Proche si impegna a trovare finanziatori con l'obiettivo di aiutare i tennisti bretoni che vogliono lanciarsi nel professionismo. Insomma, non tutti possono vantare il supporto di Gueydan. Inoltre ha potuto ultimare gli studi, visto che ha preso un baccalaureato in Scienze e Tecnologie di Gestione. Per questo, certi titoli e definizioni (via crucis e resilienza) sembrano eccessivi, per quanto sia stato oggettivamente sfortunato. A quanto pare, il ginocchio sinistro non lo lascia in pace. Nel 2020 ha avuto un problema al tendine rotuleo (“Ma non c'entra con i vecchi infortuni”). Si è sottoposto a un primo trattamento che non ha funzionato, mentre il secondo dovrebbe dare i suoi effetti tra dicembre e gennaio. Tuttavia, in due anni completi di circuito, non si è mai avvicinato ai grandi tornei. E quella frase (“Non ho l'impressione di essere arrivato alla fine dell'avventura”) è tanto legittima quanto pericolosa.

A differenza di tanti giocatori del suo livello, Quentin Gueydan ha avuto qualche sponsor
Il servizio di "Tout le Sport" in cui Quentin Guentin Gueydan racconta le difficoltà nel giocare nei bassifondi del circuito

Il mondo del tennis è crudele: soltanto una piccola percentuale riesce ad arricchirsi, o almeno a vivere dignitosamente. Molti non ce la fanno, eppure proseguono nella speranza di farcela. Vivono nell'illusione di avere il traguardo a portata di mano, di una svolta che probabilmente non arriverà mai. Ed è molto difficile capire quando è il momento di lasciar perdere e dedicarsi ad altro. Dando un'occhiata ai tabelloni dei tornei Futures, si trovano i nomi di tanti (troppi) mestieranti che per anni hanno veleggiato in questo mondo, crogiolandosi nell'illusione e piombando in un passivo che talvolta può essere drammatico (salvo cadere nel rischio della corruzione). Gueydan non corre questo rischio e sembra consapevole che non potrà insistere in eterno. Lo scorso anno, la popolare trasmissione francese Tout le Sport, in onda su France 3, lo ha seguito in occasione di un torneo a Monastir, in Tunisia, in cui ha raccontato le sue difficoltà dopo la sconfitta contro il nostro Pietro Orlando Fellin, 19enne senza classifica ATP che in Italia è classificato 2.4 e ha intrapreso la carriera universitaria negli Stati Uniti. “Ho 26 anni, ho approfittato di questa lunga pausa per pensare a un piano futuro – dice oggi Gueydan - non combatterò per sempre la sfortuna, anche se voglio giocare ancora.

Non sto a guardare, sto mettendo in piedi un progetto nel mondo del tennis, compatibile alla mia carriera”. Giusto. Il nostro sport si può amare in tanti modi. Se è vero che la libidine psicologica di vincere sul Centrale del Roland Garros è inarrivabile, ci sono tanti sbocchi ugualmente soddisfacenti. A volte le illusioni non fanno bene perché spingono a progetti irrealistici. Come qualche mese fa, quando Gueydan (a seguito del servizio andato in onda su France 3) ha lanciato una campagna di crowdfunding per raccogliere denaro (1.000 o 2.000 euro) allo scopo di giocare un paio di tornei. L'obiettivo è stato raggiunto. È giusto augurargli ogni bene, ma il sottobosco del circuito racconta storie ben più drammatiche della sua. Certe parole potevano essere usate con più cautela. Cosa dovrebbero dire i giocatori africani che faticano a uscire dal loro Paese, i sudamericani che devono trascorrere mesi lontano da casa, quelli che passano mesi dentro a un camper, o chi dipende davvero dai guadagni nei tornei? Ma in fondo è solo questione di tempo: prima o poi, la parola resilienza passerà di moda e tornerà ad essere un termine tecnico. E sarà meno abusata.