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LA STORIA

Quel marchio d'infamia che non va più via

Vent'anni fa, Guillermo Coria veniva squalificato perché gli avevano trovato il nandrolone. Seppe tornare più forte di prima, ma quel trauma gli pesa ancora oggi. Fece di tutto per ripulire la sua immagine, incassò un bel risarcimento, ma ancora oggi attribuisce a quell'episodio il crollo della sua carriera.

Riccardo Bisti
27 dicembre 2021

I luoghi comuni sono duri a morire. Si appiccicano addosso e non vanno più via, scritti con un pennarello indelebile che sancisce il marchio d'infamia. Nei suoi anni da professionista, Guillermo Coria non si è fatto amare dal pubblico e dai colleghi. Con quell'espressione da furbetto, sembrava sempre pronto a fregare il prossimo. Oggi è un uomo di quasi 40 anni ed è stato nominato capitano del team argentino di Coppa Davis, prendendo il posto di quel Gaston Gaudio che nel 2004 gli scippò il titolo al Roland Garros in una delle finali più incredibili di sempre. “Per la sua storia, l'Argentina meriterebbe di aver vinto più di una Davis – dice – ma spero che ne possa arrivare un'altra. Confido molto nei giovani, c'è un nuova generazione che è simile alla nostra. Giocano bene, competono e hanno personalità”. Insomma. Allude a Sebastian Baez e ai fratelli Cerundolo: bravissimi, per carità, ma non hanno nulla a che fare con la Legiòn, gruppo di giocatori che nei primi anni 2000 ha portato l'Argentina a vette mai più raggiunte. Lui era tra i più forti, anche se la sua carriera è stata piuttosto breve. Si è interrotta ad appena 27 anni, perché – parole sue di allora – aveva perso la passione. Ma c'è un luogo comune che non va via a Coria non riesce a sopportare. Nell'intervista natalizia con il Clarin gli hanno ricordato che la sua carriera ha avuto un crollo verticale (smentendo l'altro luogo comune secondo cui la finale persa contro Gaudio ne fosse l'origine: falso, perché ha giocato un ottimo tennis per un altro anno a mezzo).

Domanda innocua, dopo così tanto tempo. Eppure Coria tira fuori ancora una volta la squalifica per doping, che ha appena compiuto 20 anni. Era il 21 dicembre 2001 quando gli comminarono sette mesi di squalifica per avergli trovato il nandrolone durante il torneo ATP di Barcellona. Aveva rischiato due anni, ma dimostrò che lo steroide si trovava in un integratore multivitaminico prodotto da una società americana, che forniva la stessa ATP. Ma pochi si prendono la briga di leggere le carte o andare in profondità. Per questo, il marchio d'infamia gli è rimasto addosso per tutta la carriera. E Coria spiega così il suo crollo, sebbene sia arrivato diversi anni dopo. “Ho vissuto momenti duri per il processo – dice – non posso dire troppe cose, ma alla radice della questione doping ci fu un problema personale. Sono andato a testimoniare, e le persone che avrebbero dovuto farlo con me si sono tirate indietro, scegliendo di coprirsi. Nel mio miglior momento mi sono trovato a lottare per altre cose. Volevo andare a fondo, dimostrare la mia innocenza. Al processo è andata bene, però mi è costato molto”. C'è rabbia nelle sue parole, un rancore mai sopito perché Coria è convinto che gli abbiano scippato una bella fetta di carriera. Quando lo informarono della positività era un giovane rampante, appena entrato tra i top-30 ATP e aveva un obiettivo ben preciso: diventare numero 1 del mondo.

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"Mi hanno trattato come un criminale. Ho fatto tutto il possibile per tutelare la mia immagine, ho investito tutto quello che avevo, ma in tribunale era già tutto deciso"
Guillermo Coria

L'incredibile finale del Roland Garros 2004, persa da Guillermo Coria dopo aver avuto due matchpoint a favore

Il tennis era la sua missione: figlio di Oscar, allenatore di provincia, a 13 anni di età lo avevano spedito negli Stati Uniti, laddove avrebbe potuto allenarsi a patto di vivere con 50 dollari a settimana. “E così mi sono trovato a dormire nei pavimenti degli alberghi, e al mattino erano i miei compagni a portarmi croissant e yogurt perché non potevo permettermeli. Ho commesso tanti errori, ma in quel momento credevo che fossero le scelte migliori per diventare il numero 1. Tuttavia le rifarei perché mi hanno dato la forza di non regalare nulla sul campo da tennis”. Gli hanno fatto notare che il suo atteggiamento era diventato pedante, quasi fastidioso. Oggi è un uomo maturo, segnato da esperienze forti, e lo riconosce senza problemi. “Però mi assolvo perché ero molto inesperto. Sono passato in un attimo dall'asilo ad essere amministratore di una grande azienda. Mi sono trovato con grandi responsabilità, ma senza alcun apprendistato”. Oggi spiega così quell'atteggiamento che lo aveva reso una specie di reietto, anche tra i connazionali. Stava antipatico a Gaudio (leggendaria la loro litigata dopo la semifinale di Amburgo 2003), non si poteva vedere con Nalbandian, nonostante fossero cresciuti insieme. E anche gli altri lo guardavano con sospetto. La positività al nandrolone (sebbene altri argentini finirono nella rete dell'antidoping) non aiutò. “L'ho vissuta male, è stata durissima, ho investito tutto quello che avevo per dimostrare la mia innocenza”. Fu davvero così. Si avvalse della perizia da uno psicologo, fece il test del capello, si sottopose addirittura alla macchina della verità. “Ma mi hanno trattato come un criminale. Ho fatto tutto il possibile per tutelare la mia immagine, ma in tribunale era già tutto deciso”.

Gli abbuonarono il 70% della squalifica, ma il luogo comune è rimasto. Dalle nostre parti, Gianni Clerici lo soprannominò Nandrolino. E i nomignoli, giusti o sbagliati, restano per sempre. Coria fu vittima di una sindrome di accerchiamento che si tramutava in atteggiamenti poco simpatici e nella creazione di una corazza a cui potevano accedere in pochi: la famiglia, i (tanti) coach che lo hanno seguito e la moglie Carla Francovigh, onnipresente al suo fianco. Nonostante qualche problema matrimoniale, i due stanno ancora insieme e hanno messo al mondo due figli: Thiago compirà dieci anni ad aprile, Delfina ne ha otto. Quella rabbia gli ha permesso di diventare numero 3 del mondo, il più forte di tutti sulla terra battuta prima dell'avvento di Rafael Nadal. Tra il 2003 e il 2005 ha giocato otto Masters 1000 sul rosso, raggiungendo la finale in sei occasioni. “Vincevo tanto perché ogni mattina ero il primo ad arrivare al club ad allenarmi. Quando gli avversari vedono che hai così tanta fame, ti guadagni il loro rispetto. Avevo fissato l'obiettivo di diventare numero 1: col senno di poi, penso che avrei dovuto godermi di più il numero 3”. Il Roland Garros è sfumato con quei due matchpoint nel quinto set, quando un paio di accelerazioni lungolinea finirono fuori di cinque centimetri. Dopo aver vinto i primi due set, Coria fu vittima di crampi. Lasciò andare il quarto, poi il quinto si giocò sui nervi. E non potè aiutarsi con gli integratori. Dopo la squalifica ha bevuto soltanto acqua naturale, vittima di ansie e paranoie. Con un'integrazione diversa, probabilmente, non avrebbe avuto quel crollo.

Il dritto in slice, soprannominato "vigorita", era uno dei colpi più iconici di Guillermo Coria

Rapidità di gambe e mano decisamente "educata" rendevano Coria un giocatore molto spettacolare

Svanito il sogno parigino, l'arrivo di Nadal gli fece capire che il treno buono era ormai passato. La frustrazione prese forma con un improvviso yips, una perdità improvvisa e inspiegabile della capacità di eseguire il servizio. È annegato in un mare di doppi falli. Ne commetteva anche 20 a partita. Secondo gli esperti, è colpa dei problemi psicologici che hanno un forte impatto sulla memoria muscolare e compromettono alcune capacità motorie. Gli ultimi anni di carriera furono in pianto. Infortuni, doppi falli, incapacità di risollevarsi. Era ormai consumato, ma non riusciva a togliersi di mente la sensazione di ingiustizia per quella positività al nandrolone. E così, nel 2007, ha fatto causa alla Universal Nutrition, l'azienda che gli aveva passato il multivitaminico contaminato (denominato Gaspari Nutrition). Assistito dall'avvocato William Nystron, affermò che la sua carriera e i suoi guadagni erano stati pesantemente condizionati da quella faccenda. “Un tennista eccezionale ha perso due anni della sua carriera a causa dell'imputato” disse il legale. In effetti, un laboratorio indipendente aveva certificato che gli integratori prodotti dalla società del New Jersey erano contaminati da nadrolone e altri steroidi. La difesa, in effetti, apparve deboluccia. L'avvocato di Universal Nutrition disse che la quantità di steroidi era infinitesimale (dunque? Ndr), e che Coria si era ripreso alla grande dopo la scadenza della squalifica, diventando numero 3 del mondo. La richiesta fu di ben 10 milioni di dollari, la cifra stimata di guadagni perduti. Non solo i mancati montepremi, ma anche le sponsorizzazioni perdute.

A suo dire, diverse aziende lo avevano abbandonato o avevano scelto di non affiancarlo dopo questa storia. Il processo durò tre giorni e non si arrivò a sentenza. A seguito di un accordo di riservatezza, Universal Nutrition accettò di pagare una somma che non è mai stata rivelata. Di sicuro una bella cifra. Finì con una dichiarazione concordata, di facciata. Ma come spesso accade in questi casi, le smentite non hanno quasi mai la stessa risonanza della creazione dei mostri. E così Coria si è rifugiato in Argentina dopo il ritiro, prima seguendo il fratello minore Federico (oggi top-100 ATP, probabilmente lo convocherà per il match di marzo contro la Repubblica Ceca) e poi creando una sua accademia a Rosario. “Ma l'ho chiusa perché non è andata bene. Economicamente sta bene, ho le mie proprietà e tutti i miei investimenti sono tutti in Argentina. Sono nato e cresciuto qui, voglio contribuire col mio granello di sabbia al benessere del mio Paese”. Adesso inizia una nuova avventura. Col materiale umano a disposizione sarà difficile che l'Argentina possa essere competitiva per vincere la Davis, almeno per ora. Ma se anche dovesse farcela, difficilmente Coria riuscirà a togliersi per sempre di dosso quell'etichetta, quel luogo comune che tanto lo ha fatto soffrire. È lui il primo a starci male ancora. Chissà come sarebbe andata, senza 'sto maledetto nandrolone.