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La storia nascosta della Davis 1976

La Coppa Davis 1976 rimane l'unico successo italiano nell'Insalatiera. Non tutti ricordano, tuttavia, che il Cile giunse in finale grazie al forfait dell'Unione Sovietica per le stesse ragioni che scatenarono il dibattito in Italia. I russi avevano lo stesso capitano di oggi, Shamil Tarpischev. “Mi chiesero di firmare un documento in cui garantivo la vittoria contro il Cile”. Non bastò.

Riccardo Bisti
3 dicembre 2021

Le vittorie di Andrey Rublev e Daniil Medvedev hanno spinto la Russia in semifinale alle Davis Cup Finals. Superata la Svezia, i ragazzi guidati da Shamil Tarpischev se la vedranno contro la Germania. Sin dalla vigilia, i bookmakers davano per favorito il team che gioca senza inno nè bandiera, denominato Russian Tennis Federation per le note ragioni legate al doping di Stato. Queste limitazioni scadranno soltanto a fine 2022. Oggi sono più che mai in lizza per il tris dopo i successi del 2002 e 2006, ai quali si accompagnano altre tre finali. Non molti sanno, tuttavia, che l'allora Unione Sovietica aveva già avuto una grande chance di sollevare l'Insalatiera. Avvenne in un anno molto importante per noi: il 1976. La narrativa del successo italiano di 45 anni fa (appena rinfrescata con il documentario Sky di Federico Buffa e la docuserie Una Squadra, appena presentata al Torino Film Festival) si sofferma a lungo sulle vicissitudini politiche che anticiparono la finale a Santiago del Cile, con l'opinione pubblica divisa sull'opportunità di recarsi nel Paese sotto la dittatura di Augusto Pinochet. All'epoca la formula della Davis era molto diversa da oggi: il mondo era diviso in tre zone: Europa, Americhe e Eastern Zone (Asia e Oceania).

L'Europa era a sua volta suddivisa in due gruppi: le quattro vincitrici dei vari raggruppamenti si sarebbero affrontate nella cosiddetta fase Interzone. Le zone extraeuropee furono vinte da Cile e Australia, mentre nel Vecchio Continente si imposero URSS e Italia. Nell'ultimo weekend di settembre, l'Italia battè l'Australia al Foro Italico, mentre i sovietici avrebbero dovuto affrontare il Cile, ma non scesero in campo. La questione legata al quel Cile-URSS è stata solamente sfiorata e mai approfondita. Con i russi nuovamente in Final Four (sia pure con una formula molto diversa), vale la pena raccontare una storia sconosciuta ai più. Negli anni della Cortina di Ferro, non era così raro che l'Unione Sovietica boicottasse alcuni Paesi. La ragione più comune riguardava i crimini di vari regimi. Non c'era un gran bisogno di formalizzare la cosa, poiche la maggioranza dei cittadini sovietici non potevano viaggiare al di fuori dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Per ottenere (rare) eccezioni bisognava essere immacolati dal punto di vista della fedeltà politica al regime socialista. In questo senso, gli sportivi erano dei veri e propri privilegiati. Tuttavia, le varie nazionali erano sotto l'influenza governativa e spesso dovevano boicottare certi avversari per ragioni ideologiche.

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"Mi chiesero dove avremmo accettato di giocare in campo neutro. Dissi 'In Germania, se ci danno anche la scelta della superficie'. A quelle condizioni ero pronto a firmare, ma alla fine ci proibirono di giocare e abbiamo perso a tavolino"
Shamil Tarpischev

21 novembre 1973: il cileno Francisco Valdes segna il "gol della vergogna" contro gli assenti sovietici

Nel 1976 c'erano due precedenti di peso: nel 1959, la nazionale di pallacanestro (campione europea in carica) si rifiutò di giocare contro Taiwan ai mondiali. Motivo? Se la Cina era guidata dall'amico Mao Tse Tung, Taiwan era sotto il controllo di Chiang Kai-shek (sconfitto nella guerra civile). Di conseguenza, i sovietici furono squalificati e il titolo andò al Brasile nonostante l'URSS avesse vinto tutte le partite del girone finale, compresa quella contro i verdeoro. Quasi quindici anni dopo, alla nazionale di calcio fu impedito di qualificarsi ai Mondiali del 1974. All'epoca, le varie nazionali europee erano divise in nove gironi: le vincenti dei primi otto avrebbero ottenuto il pass per il Mondiale, ad eccezione di chi vinceva il nono. Il destino volle che fu quello dell'URSS, che per accedere alla fase finale avrebbe dovuto giocare uno spareggio contro la vincente del terzo girone sudamericano. Guarda caso, il Cile. Poche settimane prima della gara d'andata ci fu il colpo di stato che destituì Salvador Allende, portando al potere Augusto Pinochet. Il 26 settembre 1973 si giocò la partita d'andata a Mosca (0-0), ma poi fu impedito di andare in Cile per la gara di ritorno. Curiosamente, sia nel 1959 che nel 1973, le nazionali di Taiwan (basket) e Cile (calcio) scesero comunque in campo senza avversari e gli arbitri decretarono la vittoria dopo il primo canestro e dopo il primo gol.

Del match fantasma del 21 novembre 1973 rimane una traccia video: davanti a 5.000 spettatori, il capitano Francisco Valdes fu costretto a segnare a porta vuota. Dopo il gol della vergogna, scappò negli spogliatoi e vomitò. Erano davvero altri tempi. Ma veniamo al magico (per noi) 1976. La nazionale sovietica vinse piuttosto agevolmente la fase europea battendo Principato di Monaco, Germania Ovest, Spagna e Ungheria. Il team era composto da Alex Metreveli (finalista a Wimbledon nel 1973, edizione del boicottaggio) e Teimuraz Kakulia. Capitano? Shamil Tarpischev, lo stesso che siede in panchina a Madrid in questi giorni. E che ha guidato il team ai due successi di 2002 e 2006. Ed è proprio lui ad aver raccontato la vicenda nel suo libro The Longest Match. “La nostra prima vera possibilità di vincere la Davis risale al 1976. Eravamo entrati tra le prime quattro squadre al mondo e in semifinale avremmo dovuto affrontare il Cile, ma ci siamo rifiutati di giocare per motivi politici. C'era già stato il caso di tre anni prima e il Comitato Centrale del Partito mi chiese di sottoscrivere un documento in cui garantissi la vittoria contro i cileni. Io promisi la vittoria, ma solo se avessimo giocato in Unione Sovietica. Al contrario, ritenevo che sarebbe stato un match complicato in campo neutro. C'era stato il precedente del calcio e mi chiesero dove avremmo accettato di giocare in campo neutro. Dissi 'In Germania, se ci danno anche la scelta della superficie'. A quelle condizioni ero pronto a firmare, ma alla fine ci proibirono di giocare e abbiamo perso a tavolino. Difficile dire come sarebbe andata, ma credo che avremmo avuto ottime chance di arrivare in finale. Il Cile avrebbe schierato Cornejo e Prajoux, che io stesso avevo battuto tre anni prima a Cuba”.

Dopo il golpe dell'11 settembre 1973, l'Estadio Nacional di Santiago del Cile divenne una sorta di campo di concentramento

I cileni raccontano la loro avventura in Coppa Davis nel 1976. Il forfait dell'Unione Sovietica viene liquidato in due parole

In realtà c'era anche Alvaro Fillol a rendere più competitivo il team cileno, ma le idee di Tarpischev sono tutto sommato corrette: il fattore campo avrebbe fatto la differenza in un senso o nell'altro, mentre una sfida in campo neutro avrebbe reso il match molto equilibrato. Lo stesso Fillol, in una delle tante interviste commemorative, disse che si sarebbe rifiutato di scendere in campo all'Estadio Nacional e tirare un ace in un campo senza avversario. “Non mi sarei prestato a una pagliacciata del genere, anche se vincere la Coppa Davis sarebbe stata tutta la mia vita”. A causa di questo rifiuto, l'URSS fu sospesa per due anni dalla competizione. La decisione fu presa nel novembre 1976, a Parigi, dal comitato di Coppa Davis presieduto da W. Harcourt Woods. Qualche settimana prima era arrivata la squalifica di URSS, Cecoslovacchia, Ungheria e Filippine dalla Federation Cup 1977 perché si erano rifiutati di partecipare al girone con in campo Sudafrica e Rhodesia (l'attuale Zimbabwe). Le tre nazioni europee ebbero anche un sanzione economica (10.000 dollari): in caso di mancato pagamento, sarebbe arrivata una squalifica a tempo indeterminato.

I fatti del 1976 non furono i primi in assoluto: qualcosa del genere era già accaduto nel 1965, quando fu sospesa in extremis la sfida tra URSS e Rhodesia. L'ex colonia britannica aveva appena dichiarato l'indipendenza, senza che fosse riconosciuta da diversi Paesi. E l'Unione Sovietica non gradiva l'atteggiamento anti-comunista delle autorità locali. C'era poi il caso del Sudafrica: fino alla metà degli anni 80, i sovietici non potevano competere contro i sudafricani perché il governo era contrario alla politica dell'apartheid. Tuttavia, la policy non fu mai dichiarata esplicitamente: i sovietici erano costretti a inventare infortuni di vario genere per evitare di scendere in campo contro i sudafricani. Storie di un tennis che non esiste più, ma che sono arrivate anche ai giorni nostri: molti ricorderanno il forfait del tunisino Malek Jaziri, che quache anno fa fu costretto a non scendere in campo contro l'israeliano Amir Weintraub. Per fortuna, le Davis Cup Finals 2021 non hanno questi problemi. Ma siamo certi che Shamil Tarpischev ripenserà ai fatti di 45 anni fa, soprattutto se i suoi giocatori dovessero spingersi in finale, e giocare un match che nel 1976 fu negato dalla politica. E chissà come sarebbe andata un'eventuale finale contro l'Italia. Siamo pronti a giurare che le opinioni di Tarpischev e Metreveli sarebbero molto diverse da quelle di Pietrangeli e Panatta. Di certo avremmo avuto una storia molto diversa da raccontare.