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PENSIERI D'ESTATE

Il Grande Fratello

Oggi possiamo vedere tutto, ma proprio tutto. E qualcuno si lamenta se a Flushing Meadows saranno disponibili “soltanto” 8 campi. Qualche anno fa, tuttavia, la vita degli appassionati era molto diversa: stenti, rinunce e qualche frustrazione. È sbagliato voler tornare indietro, ma c'era un batticuore diverso. E la narrazione del tennis era molto migliore.

Riccardo Bisti
19 agosto 2023

Un paio di sere fa, prima di spegnere il computer, ho dato un'occhiata all'immensa piazza virtuale dei forum e dei social media. Qualcuno si lamentava per la mancata trasmissione di un match (molto) notturno al Masters 1000 di Toronto. Qualcun altro era preoccupato per quanto accadrà allo Us Open: non sarà garantita la visione di tutti i campi, e la qualità dello streaming è un'incognita. Ho spento il computer con un sorriso un po' beffardo, un po' ironico.
Oggi basta una semplice connessione a internet e si può vedere tutto, ma proprio tutto. Il mondo – e anche il tennis – è diventato un immenso Grande Fratello. Le telecamere si sono infilate perfino negli spogliatoi e nelle stanze d'albergo, tendenza sublimata dalla serie Netflix Break Point (che, per inciso, non ha alcun interesse per chi ha una discreta conoscenza del gioco). È pornografia pura, nel senso che si può vedere tutto, in ogni momento, senza limiti. Ma è davvero un bene che sia così?
Tranquilli: questo non è un noioso articolo da boomer frustrato, magari accompagnato dal grido di battaglia "si stava meglio quando si stava peggio".
La risposta, dunque, è sì.

Bisogna solo ringraziare Sky Sport, SuperTennis e Tennis TV per la bulimia tennistica a cui ci hanno abituato, guardoni per diletto e per professione. Nessun sano di mente tornerebbe indietro, nemmeno chi ha la tendenza a scivolare nella nostalgia, ma certe letture odierne rimandano ai tempi in cui la fruizione del tennis era raffinato erotismo, nella sua essenza più pura. La massima concessione al voyeurismo era la visione in negativo di Tele+2.
Ricordate?
Fortemente voluto da Silvio Berlusconi, è stato il primo canale interamente sportivo nella storia della TV italiana. Nato nel 1990 dalle ceneri di Tele Capodistria, trasmetteva moltissimo tennis. Normale: era lo sport giusto per riempire i palinsesti, poi era raccontato benissimo da maestri del giornalismo, su tutti Rino Tommasi. Ma la pacchia è finita in una notte di primavera.
Il 29 marzo 1992 fu oscurato.
Per vederlo bisognava pagare 37.000 lire al mese (con la rivalutazione monetaria, l'equivalente di 38 euro). Il battage pubblicitario diceva che costasse quanto un caffè al giorno: ok, ma gli italiani non erano ancora pronti a pagare per vedere un canale televisivo in più. Lo stesso Tommasi ammise di essere rimasto deluso dalla risposta del pubblico: Tele+ (c'era anche Tele+1, dedicata al cinema) non si è nemmeno avvicinata al successo sperato. La maggioranza degli appassionati, dunque, rimase senza tennis, dovendosi accontentare di quello che passava la RAI: Roma e Roland Garros (mai integrali), i match di Coppa Davis dell'Italia più qualche torneo sul nostro territorio. Il satellite dava grandi soddisfazioni, ma era roba per pochi. Alcuni televisori, tuttavia, riuscivano a stabilizzare il segnale criptato di Tele+2. Era visibile in negativo, sia pure senza audio, dando così un'idea di quello che andava in onda. In tanti – molti più di quanto si creda – guardavano il tennis con queste modalità. Dal buco della serratura, appunto. E pazienza se il campo era chiaro e la pallina nera. I campi secondari degli Slam erano un altro mondo, quasi irraggiungibile, come se fossero su un altro pianeta.

Rino Tommasi e Gianni Clerici raccontano Sampras-Agassi a Wimbledon 1993 ai (non troppi) abbonati a Tele+2

Per scrivere ai giocatori bisognava armarsi di carta, penna, busta, francobolli e scrivere agli uffici ATP e WTA sparsi per il mondo. Se eri fortunato, qualche anima pia faceva pervenire le missive agli eroi con la racchetta.
ASICS ROMA

In assenza di internet, l'unico modo per saziare la fame di tennis erano le riviste specializzate. Ce ne sono state parecchie, ma le più prestigiose rimangono Matchball (dal 1971 al 1996) e Il Tennis Italiano (nata nel 1929, ancora oggi si fregia del titolo di più antica rivista al mondo, e ha il privilegio di essere collezionata dalla biblioteca di Wimbledon). Quest'ultimo era un mensile, mentre Matchball usciva ogni due giovedì, ma solo nelle grandi città. I lettori di provincia dovevano aspettare qualche giorno in più per sfamarsi di articoli, interviste, risultati, test racchette. Tutte cose che oggi si trovano in tempo reale, senza alcuno sforzo e a costo quasi zero. All'epoca erano attese, assaporate, deglutite con lentezza perché si sarebbero dovuti aspettare almeno altri 15 giorni. Quelli che oggi scrivono su internet si gustavano Il Grande Tennis, striscia settimanale che Tele+2 faceva la grazia di trasmettere in chiaro (con ovvi scopi promozionali), e ogni giorno consultavano il Televideo RAI, antesignano del web, laddove – non sempre – si potevano leggere i risultati qualche ora dopo le partite. “A quei tempi, la mia avventura sarebbe passata completamente inosservata – mi raccontava Enrico Becuzzi, un toscano per qualche anno ha dato disperatamente la caccia a un punto ATP – adesso invece puoi sapere tutto in tempo reale, anche quanti punti ho fatto sulla seconda di servizio dell'avversario”.
Il tifo era più genuino e si esprimeva analogicamente. La barriera per esprimere la passione era molto più alta di oggi. Non c'erano profili social da stalkerizzare: per scrivere ai giocatori bisognava armarsi di carta, penna, busta, francobolli e scrivere agli uffici ATP e WTA sparsi per il mondo. Se eri fortunato, qualche anima pia faceva pervenire le missive agli eroi con la racchetta. Si narra che Steffi Graf ne ricevesse 130 al giorno.

Chi tifava per giocatori di seconda fascia viveva nella più cupa frustrazione: non solo c'erano più delusioni che gioie, ma era condannato al buio cognitivo. Non sapeva quali tornei avrebbe giocato il suo idolo, talvolta doveva aspettare giorni (se non settimane) per conoscere i risultati, e trovare una misera foto era un'impresa. I passaggi in TV, poi, erano una sorta di festa nazionale.
I più intraprendenti investivano 10.000 lire per comprare una scheda telefonica. Serviva per telefonare agli uffici ATP di Monte-Carlo e chiedere timidamente i risultati, alla modica cifra di 700-800 lire al minuto per la conversazione. Dovevano sperare che rispondesse la deliziosa Nanette Duxin. Perchè poteva capitare chi li prendesse a male parole, affermando che quelle telefonate davano fastidio. Questa mancanza di empatia, ovviamente, ha aiutato a fare carriera e a ottenere ruoli sempre più importanti.
La presenza stessa ai tornei era il momento clou, molto più di oggi. Nel 2023, un ipotetico tifoso di Taro Daniel può vedere ogni partita del suo idolo e mandargli tutti i direct message che vuole. Nel 1995 non era possibile vedere ogni match di Pete Sampras, Andre Agassi o Boris Becker. Ma c'erano Monte-Carlo per chi stava al nord, e il Foro Italico (a prezzi accessibili) per chi viveva nel resto d'Italia. Gli autografi avevano un valore inestimabile e le foto ancora di più, nella speranza che fossero venute bene, pregando che ore di appostamenti fossero servite a qualcosa.
Viene quasi da pensare che la passione di allora fosse più genuina, proprio perché si faticava dieci volte tanto per ottenere risultati dieci volte inferiori. Ma era bello, credetemi.
Anche perché il tennis era raccontato benissimo.

Matchball è stata la miglior rivista mai pubblicata sul tennis. Ha cessato le sue pubblicazioni nel 1996

«Vorrei tanto sbagliarmi ma Gaudenzi mi sembra un buon giocatore, non un campione. Vedo in lui consistenza, soprattutto mentale, una maggiore disponibilità al lavoro, sicuramente appresa alla scuola di Muster dove, credo, Camporese avrebbe resistito un giorno» 
Rino Tommasi, 1994

1998: Rino Tommasi e Gianni Clerici commentano il successo a Wimbledon di Jana Novotna

Una volta, il mitico Ray Giubilo (bravissimo fotografo italo-australiano) mi disse che sì, sul campo le cose andavano male. Ma a giornali e riviste eravamo i migliori al mondo.
I numeri gli davano ragione: quando l'Italia di Paolo Bertolucci raggiunse una clamorosa finale di Coppa Davis (poi svanita nella spalla in frantumi di Andrea Gaudenzi), il Tennis Italiano realizzò un'edizione speciale di 272 pagine che registrò la cifra record di 12.000 copie vendute. Numeri inimmaginabili oggi: d'altra parte, all'epoca, in Italia c'erano 40.000 edicole. Oggi stanno chiudendo a un ritmo vertiginoso.
C'erano ottimi professionisti e un faro di nome Rino Tommasi. Oltre a commentare su Tele+2 e collaborare per diversi quotidiani, scriveva anche su Matchball. Ogni estate – dalla residenza estiva di Ussita (*), in provincia di Macerata (in cui non arrivava il segnale di Tele+2) – scriveva i suoi pensieri estivi, in una rubrica denominata “Pensieri d'Estate”, da cui prende sfacciatamente spunto questo modesto scritto. Rileggerli oggi fa esplodere di nostalgia e ci ricorda perchè, oggi, l'Italia si trovi al 41esimo posto nella classifica mondiale della Libertà di Stampa stilata da Reporters Sans Frontieres, peraltro dopo essere sprofondata al numero 58 nel 2022. Oggi nessuno si sognerebbe di scrivere quello che scriveva Tommasi trent'anni fa, con garbo e acutezza.

“A livello di squadra, le tenniste italiane non ci hanno mai regalato la minima soddisfazione” scriveva quando le nostre migliori giocatrici erano una Sandra Cecchini a fine carriera e una giovane Silvia Farina. E si chiedeva come mai Rita Grande fosse stata convocata nell'allora Federation Cup, pur non essendo tra le migliori giocatrici italiane. Era una domanda retorica, che oggi nessuno avrebbe il coraggio di porre (Rita era una scommessa della federazione, che su di lei aveva investito moltissimo). Tommasi si inimicava tutti, parlando del difficile rapporto di Renzo Furlan con la Coppa Davis, a cui aveva rinunciato (vi sarebbe rientrato tempo dopo). Da una parte bacchettava la Federazione, incapace di tenere buoni rapporti con i nostri migliori giocatori. Allo stesso tempo, aveva definito risibili e ipocrite le giustificazioni addotte da Renzo per aver saltato un match contro la Spagna. Correva l'anno 1994 ed eravamo in piena Gaudenzi-Mania. Molti speravano che sarebbe diventato il top-10 che attendevamo da quindici anni. “Vorrei tanto sbagliarmi ma Gaudenzi mi sembra un buon giocatore, non un campione – scriveva Tommasi – vedo in lui consistenza, soprattutto mentale, una maggiore disponibilità al lavoro, sicuramente appresa alla scuola di Muster dove, credo, Camporese avrebbe resistito un giorno”. Onestà intellettuale cristallina, senza il timore di criticare o addirittura inimicarsi il giocatore di turno. Oggi è uno scenario impensabile.

In occasione dell'ultima finale di Coppa Davis giocata dall'Italia, Il Tennis Italiano pubblicò un numero speciale di 272 pagine. Vendette la cifra-record di 12.000 copie

La critica è bandita per paura di chissà quali conseguenze, dagli sguardi torvi alla mancata concessione di un'intervista. Capita anche che un giocatore - per un articolo a suo dire ingiusto - si procuri il numero del giornalista e gli scriva via Whatsapp per lamentarsi. La nuova dinamica ha prodotto tennisti del tutto intolleranti alle critiche (quelle serie e argomentate, non le idiozie da social), ormai abituati a vedere i media come una cassa di risonanza, il cui compito è veicolare soltanto elogi. D'altra parte l'asticella si è abbassata moltissimo anche nel mondo dell'informazione. A quei tempi c'era una selezione spietata, l'accesso era una porticina spesso inaccessibile. Oggi c'è l'illusione di avere tutto e subito, si ottiene visibilità immediata ma effimera, basata sull'inutilità dei like e alimentata dalla disgustosa strategia del clickbaiting. Giovani abbagliati dall'idea di tramutare una passione in una professione si adattano a tutto, spesso senza averne le basi culturali e deontologiche. Senza considerare (con alcune eccezioni, ci mancherebbe) una spaventosa mancanza di preparazione che si prova a mascherare imparando a pappagallo qualche dato statistico, snocciolandolo come se fosse chissà quale rivelazione. La conseguenza è una narrazione distorta, perchè all'orgia di immagini non si accompagna il giusto approfondimento e lo spirito critico, ormai sconosciuto. Se oggi si affrontano Denis Shapovalov e Jannik Sinner, nove volte su dieci gli highlights sono tutti del canadese, ma nove volte su dieci la partita la vince Sinner.

Non tutti lo capiscono, così come non tutti capiscono che è quasi normale che Sinner perda al primo turno di Cincinnati dopo aver vinto a Toronto. La pornografia ha portato a una fruizione usa e getta che non permette di comprendere appieno la bellezza e la complessità del tennis, e i media – che avrebbero il compito di spiegarlo – sembrano essersi adeguati a questa nuova realtà. Oggi lo stile è urlato, quasi mutuato dal calcio. Una delle parole che sentiamo di più è pazzesco, quando di pazzesco non c'è proprio nulla.
Non tornerei indietro: ho scritto questi pensieri con Swiatek-Vondrousova sullo sfondo, e faticherei a rinunciarvi. Anzi, ormai non potrei più. Ma di quei tempi rimpiango la qualità del racconto. Pensate che bello: il profluvio di immagini attuale accompagnato da una narrazione adeguata.
Chissà se un giorno ci arriveremo.
Per adesso siamo lontanucci: mercoledì è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la modifica alle leggi per la candidabilità dei presidenti federali. Come era ampiamente previsto, il parlamento ha approvato tutto: i boiardi dello sport italiano potranno candidarsi all'infinito. Dopo il blitz notturno del 26 luglio, la notizia è finita in Gazzetta Ufficiale il giorno dopo Ferragosto, in modo quasi clandestino. Avete forse letto la notizia da qualche parte?
Intanto, buon fine Cincinnati. E buon Us Open.

(*) La passione di Tommasi era talmente sincera che - nonostante dicesse di aver visto troppo tennis nella sua vita - durante le vacanze estive si concedeva sempre una capatina al Challenger di Recanati, che pure dista una novantina di chilometri.